La debolezza del modello economico di Ankara
L’economia turca sembra aver smarrito la stella polare: oggi Ankara ha una valuta in caduta libera con una serie di squilibri macroeconomci sempre aggiustati da un tasso di cambio generoso verso il deprezzamento della moneta. Una ricetta logora. Un tempo non molto lontano il Paese sul Bosforo con 78 milionidi abitanti era un modello di sviluppo per i paesi dell’area. Il regista di questo miracolo economico che ha fatto quadruplicare il reddito pro capite portandolo da 2.500 a 10mila dollari nel giro di un quindicennio, è stato l’economista di fama internazionale Kemal Dervis, che fece nel 2001 una serie di riforme liberiste e di stabilizzazioni del settore bancario che hanno portato a ritmi di crescita cinesi.
Dervis, dopo aver varato le impopolari riforme strutturali, andò al voto nel 2001 e perse le elezioni aprendo la stagione di Erdogan che dura da 16 anni. Ma nel frattempo l’economia turca ha subito l’usura del tempo con una posizione esterna vulnerabile a causa dell’elevato deficit corrente, della forte dipendenza dai flussi di capitali dall’estero, della bassa copertura del fabbisogno esterno e delle importazioni garantite da riserve valutarie.
Tutti fattori che la rendono fragile agli shock esterni. L’inflazione è alta e negli ultimi anni l’obiettivo di inflazione è stato costantemente superato. La Banca centrale ha dovuto subire forti pressioni da parte di Erdogan che ha chiesto di ridurre i tassi pur in presenza di spinte inflazionistiche. Ma a preoccupare gli analisti è soprattutto la debolezza del modello di sviluppo.
Il Paese che oggi presenta una limitata sofisticazione nelle produzioni domestiche (il 75% dell’export riguarda prodotti agricoli e manifatturieri a medio e basso contenuto tecnologico) non ha saputo fare il balzo e attrae relativamente pochi investimenti diretti esteri, pari all'1,7% negli ultimi 10 anni.
Occorre una stagione di riforme che rafforzino la struttura economica ma per ora si vedono solo convulsioni politiche.