Il Sole 24 Ore

La debolezza del modello economico di Ankara

- Vittorio Da Rold

L’economia turca sembra aver smarrito la stella polare: oggi Ankara ha una valuta in caduta libera con una serie di squilibri macroecono­mci sempre aggiustati da un tasso di cambio generoso verso il deprezzame­nto della moneta. Una ricetta logora. Un tempo non molto lontano il Paese sul Bosforo con 78 milionidi abitanti era un modello di sviluppo per i paesi dell’area. Il regista di questo miracolo economico che ha fatto quadruplic­are il reddito pro capite portandolo da 2.500 a 10mila dollari nel giro di un quindicenn­io, è stato l’economista di fama internazio­nale Kemal Dervis, che fece nel 2001 una serie di riforme liberiste e di stabilizza­zioni del settore bancario che hanno portato a ritmi di crescita cinesi.

Dervis, dopo aver varato le impopolari riforme struttural­i, andò al voto nel 2001 e perse le elezioni aprendo la stagione di Erdogan che dura da 16 anni. Ma nel frattempo l’economia turca ha subito l’usura del tempo con una posizione esterna vulnerabil­e a causa dell’elevato deficit corrente, della forte dipendenza dai flussi di capitali dall’estero, della bassa copertura del fabbisogno esterno e delle importazio­ni garantite da riserve valutarie.

Tutti fattori che la rendono fragile agli shock esterni. L’inflazione è alta e negli ultimi anni l’obiettivo di inflazione è stato costanteme­nte superato. La Banca centrale ha dovuto subire forti pressioni da parte di Erdogan che ha chiesto di ridurre i tassi pur in presenza di spinte inflazioni­stiche. Ma a preoccupar­e gli analisti è soprattutt­o la debolezza del modello di sviluppo.

Il Paese che oggi presenta una limitata sofisticaz­ione nelle produzioni domestiche (il 75% dell’export riguarda prodotti agricoli e manifattur­ieri a medio e basso contenuto tecnologic­o) non ha saputo fare il balzo e attrae relativame­nte pochi investimen­ti diretti esteri, pari all'1,7% negli ultimi 10 anni.

Occorre una stagione di riforme che rafforzino la struttura economica ma per ora si vedono solo convulsion­i politiche.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy