La variabile geo-politica pesa di più sui mercati
Il referendum britannico sull’Ue, certamente, è tra le prove più lampanti. E, però, altri sono gli esempi che testimoniano il sempre maggiore peso della (geo) politica sui mercati. Una variabile che, negli ultimi tempi, è diventata un importante market mover. È vero! Può obiettarsi che anche nel passato eventi di questa natura hanno influenzato le Borse. Tuttavia, come mostrano i report finanziari che sempre più si «dilettano» nell’analisi dei flussi di voti o dei calendari elettorali, il detto che i «mercati non leggono la politica» ha perso di peso. Al che si domanda: perché? Le risposte sono molteplici. Un primo tema, che riguarda soprattutto l’Occidente industrializzato, è legato alla frammentazione del voto. L’incertezza sugli esiti di una consultazione manda in tilt gli investitori. I quali, di conseguenza, si sforzano sempre di più nell’analizzare le elezioni. Anche perché, sottolineano in molti, l’invecchiamento della popolazione spesso crea un blocco sociale sfavorevole alla globalizzazione (lo si è visto nel referendum britannico). E questo, ovviamente, dà fastidio ai mercati. Ma non è solo questione di voto. Sono rilevanti anche elementi più «tradizionali». Uno tra tutti: la sempre minore efficacia delle manovre delle banche centrali. Le politiche monetarie ultra-espansive sono in campo, con più o meno intensità, da quasi 10 anni. Un arco di tempo molto ampio che, come nell’uso troppo prolungato di una medicina, ne ha via via limitato l’impatto. A fronte di questa dinamica le Borse si sono «aggrappate» anche, e soprattutto, ad altri market mover. Tra questi: la variabile della politica. La quale, per l’appunto, ha aumentato la sua importanza.
Già, l’importanza. A ben vedere un altro elemento gioca a favore del maggiore impatto della variabile in oggetto. Quale? La struttura tecnologica, ed iperconnessa, degli stessi mercati. Un network globale su cui gli algoritmi e i trader automatici corrono a piacimento. Così, ricordando che oltre il 60% degli scambi azionari mondiali è gestito da robot, non stupisce che, non appena arrivate le prime notizie del tentativo di golpe in Turchia, gli asset più sensibili siano schizzati all’ingiù (o all’insù). Certo: la motivazione è trasversale a più market mover. Inoltre, secondo alcuni, i sistemi tecnologi non sono ancora in grado di analizzare variabili complesse quali quelle geo politiche. Ciò detto, però, proprio la Brexit ha mostrato come gli algoritmi siano invece capaci di sfruttare al meglio il market mover del voto. L’approccio statistico ha eliminato i rumori di fondo sul mercato. In particolare, quelli legati ai sondaggi pubblicati subito dopo la chiusura delle urne. In quel momento la convinzione generale era che il «Remain» avrebbe vinto. Un contesto in cui l’operatore umano, fin lì certo della «Brexit», sarebbe stato indotto a cambiare posizione. Non, però, il robot. Il quale, non rilevando mutamenti nell’impostazione di fondo del mercato, ha proseguito nella sua strategia. Che, alla fine, si è rivelata quella giusta.