L’Italia del biomed investe nelle startup ma non fa sistema
Delle 321 censite, la maggior parte opera nella diagnosi in vitro. Molte le soluzioni che potrebbero fare risparmiare il Ssn
Trovare finanziamenti per un’idea innovativa serve, ma se sei una startup biomedicale non basta. Occorre avere tempo, per la certificazione Ce, la validazione clinica, l’approvazione da parte degli enti regolatori. I tempi di sviluppo di un medical device sono per forza di cose più lunghi rispetto ai prodotti del settore Ict, perchè parliamo di tecnologie sanitarie, e l’aspetto regolatorio fa la differenza nell’allungare i tempi. Insomma, rispetto ai 6 mesi per il lancio di una nuova app, qui dobbiamo mettere in conto almeno 5 anni.
La nota positiva però è che il biomedicale è un settore che ha fame di innovazione perchè ha un beneficio diretto sui pazienti, fa risparmiare il Servizio sanitario nazionale e ha maggiori potenzialità di sfondare in uno dei mercati più strategici, quello della salute. E chi è del settore ha ben presente la storia di Andrea Venturelli, che nel 2010 ha venduto la sua Invatec per 500 milioni di dollari alla multinazionale Medtronic.
Ma è partecipando alla seconda edizione di Startup Biomed Forum, che si è da poco svolta nella sede di I3P, incubatore del Politecnico di Torino, che si tasta con mano l’atmosfera che avvolge questo settore. Una grande energia, ma soprattutto la determinazione di trasformare un’idea nata dal proprio background scientifico in un prodotto imprenditoriale. Come ci racconta Massimo Bocchi, 39 anni di Bologna, ingegnere elettronico con un dottorato in microelettronica e un’esperienza di 6 mesi in Silicon Valley « che è stata estremamente utile, lì ho capito il potere e il valore di fare networking » . Poco più di due anni fa Massimo e il suo socio hanno fondato Cellplay, una piattaforma per ospedali per personalizzare la cura del cancro. Il test funzionale determina istantaneamente l’efficacia di un farmaco nel contrastare le cellule cancerogene in un determinato paziente. E poi ci sono anche Alessandro Sappia ed Enrico Manzini, due giovani ingegneri informatici che con la loro Biotechware hanno creato un elettrocardiografo portatile e in partnership con Telemedico offrono il servizio alle farmacie, alle case di cura, alle Asl. Un buon esempio di collaborazione.
In effetti, il punto debole di questo settore è la resistenza a fare sistema, anche se si registra un aumento dei contratti di rete ( due anni fa erano 5 oggi sono 37), questo processo è più lento rispetto al numero di startup. « Sono numeri ancora troppo bassi se si tiene conto che è un settore in cui operano migliaia di Pmi e oltre 300 startup. Queste forme strutturate di collaborazione tra imprse permettono infatti di accelerare la crescita - spiega Paolo Gazzaniga, direttore del Centro studi di Assobiomedica -. Dal nostro osservatorio emerge anche che c’è un’inversione di tendenza rispetto al numero di spin off accademici, che nei primi anni rappresentavano la percentuale più alta, mentre ora sono diminuiti, anche se rappresentano ancora il 46 per cento del totale. La ragione sta nella debolezza del sistema di trasferimento tecnologico. In Italia non possiamo adottare il sistema americano, quello che utilizza il Mit per intenderci, perchè non abbiamo lo stesso tipo di risorse. Sarebbe più efficace il modello svizzero Unitrecta, attraverso il quale le Università di Zurigo, Berna e Basilea hanno creato un ufficio di trasferimento tecnologico esterno che lavora a beneficio di tutti e tre. Non è utopistico pensare che anche in Italia si possa creare un centro per il trasferimento tecnologico focalizzato sulle life science, che avrebbe nel proprio data base tutte le informazioni su quali sono le industrie nel mondo potenzialmente utili a sviluppare o commercializzare una certa innovazione e fungere da hub per le diverse facoltà: da medicina a ingegneria ad agraria». E restando nell’ambito dell’approccio collaborativo, Gazzaniga aggiunge un altro importante tassello che riguarda la nostra competenza clinica e la possibilità di metterla in rete. « Se ci fosse una rete nazionale che cooptasse tutte le migliori strutture italiane con le migliori competenze, sarebbe la piattaforma di elezione per sperimentare e sviluppare una nuova tecnologia. Una piattaforma strutturata e competente ha maggiore credibilità e potrebbe essere non sola una sponda per le nostre startup, ma anche per la multinazionale che ha la necessità di validare la propria tecnologia. Anche questo è un modo per aprire le porte all’innovazione » .
La massa critica per fare sistema in Italia esiste come evidenzia l’istantanea del settore fornita da Assobiomedica, che registra rispetto all’anno scorso un aumento nel numero delle startup che operano solo nei dispositivi medici: da 250 a 321.
«Il settore - spiega Vera Codazzi, responsabile Area Innovazione di Assobiomedica - è caratterizzato da un’elevata complessità ed eterogeneità a livello di prodotti e tecnologie; una forte concentrazione territoriale geografica ed è trainato in modo preponderante dall'innovazione. Sono 4368 le imprese censite attive nel settore dei dispositivi medici, che danno lavoro a oltre 70mila dipendenti. Prevale la componente manifatturiera, oltre il 50% del totale è produzione diretta » .
Da un punto di vista geografico, in Italia il 70% per numero di imprese si concentrata in cinque regioni, che producono oltre l’80% del fatturato italiano: Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Lazio e Toscana. Il Piemonte è al settimo posto per numero di imprese, al sesto per fatturato. Le multinazionali sono una piccola percentuale sul totale ma di fatto producono quasi il 60% del fatturato globale e sono le imprese di dimensioni maggiori. Per le startup il comportamento è analogo a quello delle imprese, ovvero concentrate in alcune regioni, le principali sono: Toscana, Emilia Romagna, Lombardia, in queste si concentra il 60% delle startup e il 64% di quelle innovative sul totale. La maggior parte opera nella diagnostica in vitro, seguita dai servizi software.
Il settore della medicina sta andando incontro a dei significativi cambiamenti: da un lato l’allungamento della vita, l’aumento delle malattie croniche, le cure a domicilio, dall’altro la spesa medica, che in tutto il mondo sta aumentando in maniera i mportante, spingono a cercare nuove soluzioni tecnologiche che facciano anche risparmiare. Il medtech ha quindi dentro di sè una forza scientifica, industriale e una grande opportunità di mercato sia nazionale che internazionale. «Il vero tema non sta tanto nell’offerta, ma sul fronte della domanda che è molto timida e lenta - spiega Marco Cantamessa, ordinario presso il Politecnico di Torino, docente di Ingegneria gestionale e della produzione, presidente dell’I3P del Politecnico di Torino, il primo incubatore in Italia. La difficoltà per una startup è passare dal contatto al contratto, e visto che l’iter di sviluppo del prodotto in questo settore è molto lungo e problematico, serve un supporto da parte dei decisori, e anche una maggiore consapevolezza sullle opportunità che offrono queste aziende. Perchè le startup sono delle grandi aziende ancora piccole, non una moda passeggera».