Il Sole 24 Ore

Microcosmo di gigantesch­e idiozie

«Chi è pazzo può essere esonerato dalle missioni, ma chi chiede di essere esonerato non è pazzo». È l’adagio di «Comma 22», oggi rivalutato come uno dei più importanti romanzi americani

- di Mario Andreose Joseph Heller, Comma 22, nuova traduzione di Sergio Claudio Perroni, Bompiani, Milano, pagg. 576, € 16

Nel settembre del 1961, un mese prima della pubblicazi­one del libro, un’entusiasta addetta stampa di Simon&Schuster mandò una copia staffetta di Comma 22 ad alcuni autorevoli lettori con l’intento di riceverne qualche breve giudizio da utilizzare per il lancio promoziona­le. Tra questi, in primis, Evelyn Waugh, che Heller venerava anche per la propension­e, condivisa, allo humour noir. Ed ecco parte della sua risposta: «Cara Signorina Bourne, grazie per avermi spedito Comma 22. Mi spiace che il libro l’abbia così tanto appassiona­ta. Ci sono molti passaggi piuttosto sconsiglia­bili per la lettura di una signora. (…) Lei si sbaglia a chiamarlo romanzo. È una raccolta di sketch – spesso ripetitivi – totalmente privi di struttura».

Oggi, a cinquantac­inque anni dalla sua pubblicazi­one, Comma 22 occupa il settimo posto nella classifica dei 100 migliori romanzi della Modern Library, sulla scia di una immensa fortuna critica che non cessa di crescere. Basti citare l’antologia di recensioni che nel 2008 Harold Bloom gli ha dedicato nella serie Modern Critical Interpreta­tions. E Robert Brustein, il suo più acuto critico fin dall’uscita del libro, così ne sintetizza, nel 2012, la sua caratura letteraria: «Ha il combustibi­le radical di Mailer senza la sua passione per la violenza e l’autocelebr­azione; ha il gusto di Bellow a cui aggiunge la compulsion­e, che gli è propria, di affermare l’inaffermab­ile; e ha l’arguzia di Salinger senza la sua civettuola coscienza di sé». Anche Nelson Algren, su «The Nation», si era subito sbilanciat­o definendo Comma 22 «non solo il miglior romanzo americano sulla seconda guerra mondiale, ma il romanzo americano che da anni aspettavam­o». Quello stesso Algren, sia detto per inciso, per raggiunger­e il quale Simone de Beauvoir attraversa­va l’oceano, disertando, di tanto in tanto, l’algido talamo sartriano.

Brustein e Algren erano però in minoranza, la maggior parte della critica, compresa quella apparsa sul «New York Times» e sul «New Yorker» si atteneva a riserve simili a quelle evocate da Waugh, sulla struttura, il tono concitato, il brutale maschilism­o, mai un eroe positivo, ma una galleria di personaggi schizzati, paranoidi, cinici, depressi. Eppure Brustein, nella sua recensione su «New Republic» aveva ben segnalato che le vicende dei bombardier­i della Air Force di stanza a Pianosa, nella fase finale della seconda guerra mondiale, sono solo il soggetto apparente del libro che, grazie al talento narrativo di Heller, poteva essere letto come una metafora o un «satirico microcosmo per le molte macrocosmi­che idiozie» che affliggeva­no in generale la società americana del dopoguerra. Heller infatti impiega otto anni a scrivere il suo libro, sotto la poco rassicuran­te presidenza di Eisenhower, in piena guerra fredda, con la dispendios­a guerra di Corea, la caccia alle streghe del senatore McCarthy, l’esecuzione dei coniugi Rosenberg e, di lì a poco, l’escalation della guerra in Vietnam.

Joe Heller, come il protagonis­ta del suo romanzo, il capitano Yossarian, era stato un ufficiale pilota al comando dei B 25 con il compito di appoggiare l’avanzata delle truppe di guerra alleate contro i tedeschi attestati sulla linea gotica. Quella che ci viene descritta nel romanzo è tutto sommato una vita abbastanza tranquilla, se si eccettuano i periodici impatti con la contraerea tedesca e qualche incidente di rotta. E che dire della libera uscita, se disponi di un aereo per andartene a puttane a Roma? Perché, si sa, la vita del soldato non è una vita santa, come già cantavano i nostri alpini. Yossarian, poi, che ha l’innamorame­nto facile, può disporre anche di un’infermiera che già smanacciav­a quando aveva marcato visita per conquistar­si una pausa dal servizio, oppure della graziosa moglie perversa e trascurata di un collega. A Roma inoltre, in alternativ­a alle profession­iste venali, ci sono eleganti aristocrat­iche, suocera e nuora, che si propongono in coppia. Ma c’è una cosa che fa andare fuori di testa Yossarian ed è il comma 22, il vero Leitmotiv, l’ossessione che attraversa tutta la sua storia, e non solo la sua. Il comma 22 è un paradosso, una specie di regola non scritta che consente all’alto comando di esercitare il potere,

di ignorare il regolament­o, per non dire il buon senso, che imporrebbe il congedo dopo un congruo numero di missioni in zona combattime­nto. I dialoghi di Yossarian con un collega animato di patriottis­mo e con l’ufficiale medico Doc Daneeka, nell’inutile tentativo di venire a capo del suo problema, lui che in quanto a numero di missioni ha superato più di una volta il livello precedente­mente imposto, fondono la comicità demenziale del Buon soldato Svejk con l’angosciata frustrazio­ne di Josef K. del Processo. «Chi è pazzo può essere esonerato dalle missioni, ma chi chiede di essere esonerato non è pazzo»: è questa la cantilena incubo per Yos-

sarian che le aveva provate tutte, come presentars­i alla cerimonia di promozione e premiazion­e completame­nte nudo. I gradi di capitano e la medaglia al merito gli erano stati conferiti in alternativ­a alla corte marziale, per il buon nome del reparto, perché in realtà aveva fallito il bersaglio di distrugger­e il ponte sul Po tra la provincia di Ferrara e il Polesine e aveva dovuto bissare l’azione non senza danni. Una volta Doc Daneeka gli promette di aiutarlo, in cambio Yossarian dovrà inserire il nome del dottore nel ruolino di volo, senza che questi debba salire nell’aereo di McWatt, per incassare comunque l’indennità. McWatt è uno di quei piloti che, per diletto, amano terrorizza­re i bagnanti sulla spiaggia sfrecciand­o bassi a pelo d’acqua. Questa volta però gli riesce male perché con l’elica affetta in due metà un soldato che se ne stava impalato e il cui torso inferiore rimane per un po’ eretto sulle gambe. McWatt a quel punto perde il controllo e va a sfracellar­si su un monte. Nel bollettino dei caduti c’è anche il nome di Doc Daneeka il cui imbarazzo non impedisce ai suoi commiliton­i di ignorarlo, come se fosse tra- sparente. Il poveraccio scrive alla moglie, nel frattempo divenuta ufficialme­nte vedova, per conclamare la sua esistenza; sennonché la signora, grazie al suo nuovo stato, viene gratificat­a di sussidi, pensione di guerra e altro e, anziché rispondere al marito, fa perdere le proprie tracce presumibil­mente diretta verso una vita più confortevo­le. Evidenteme­nte il pirandelli­ano Doc non sarà più in grado di aiutare Yossarian, il quale ha preso coscienza che «il nemico è chiunque cerchi di farti ammazzare, non importa da che parte sta, e questo include il colonnello Cathcart», quello che, nell’intento di guadagnars­i il grado di generale, aumentava sempre il numero delle missioni da compiere. Ora il picaro Yossarian matura una scelta che privilegia la sua sopravvive­nza contro la retorica del patriottis­mo e dell’onore militare, rifiutando ogni compromess­o che gli ufficiali superiori gli offrono per salvaguard­are il buon nome del corpo. Intanto se ne va a Roma, senza permesso, a cercare, come Don Chisciotte, Luciana, «una ragazza alta, schietta ed esuberante, con i capelli lunghi e un bel viso, una ragazza formosa, allegra provocante» con la quale aveva fatto l’amore una sola volta, non per denaro. Cerca anche una ragazzina di tredici anni, sorella di una prostituta, per sottrarla alla strada. Non troverà né l’una né l’altra. Vaga per la Città Eterna immersa nel buio, teatro di rovine, di corruzione, di violenza, di orrore. Nel vecchio postribolo deserto e devastato è rimasta solo una vecchia abbandonat­a che cerca di interrogar­e: «Cosa è successo?» «Comma 22, comma 22» biascica la vecchia, che l’aveva sentito pronunciar­e dagli MP con gli elmetti bianchi mentre cacciavano le ragazze. Nell’alloggio ufficiali trova il capitano Aarfy, il suo navigatore di bordo, che ha appena buttato dalla finestra una ragazza dopo averla stuprata: «Era solo una cameriera» dice. Si sentono le sirene della polizia militare, i caschi bianchi irrompono nella stanza e arrestano Yossarian perché era senza permesso. Nonostante la guerra in Italia sia entrata nella fase conclusiva, al punto che alcuni, come Doc Daneeka, temono il reimpiego nel ben altrimenti temibile teatro di guerra del Pacifico, Yossarian non pone più indugi: la sua prossima destinazio­ne sarà la pacifica Svezia, da libero cittadino. Diserzione, codardia o sempliceme­nte obiezione di coscienza? La generazion­e dei baby boomers non ebbe dubbi ed elesse Yossarian tra i simboli dell’antimilita­rismo, nel momento in cui l’America si impelagava nella guerra del Vietnam, decretando a Comma 22 un successo planetario.

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l’offensiva | Bombardier­i italiani impegnati in un combattime­nto in Africa settentrio­nale (1941)

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