Il Sole 24 Ore

Il mito ebraico è in moto

Lo studio di Elena Loewenthal sulla mitologia ebraica e i suoi continui rifaciment­i e riadattame­nti

- Di Giulio Busi

Si sa che la morale non era il forte dei vecchi numi pagani. Tutte quelle scappatell­e, le vergini rapite, le mogli tradite, i ragazzini sedotti e abbandonat­i non giovavano certo alla reputazion­e di Zeus e compagni. Né a quella delle Veneri e degli Apolli di turno, eccelsi abitatori d’Olimpo finché si vuole ma pur sempre divini sporcaccio­ni.

Quando si trattò di far piazza pulita della religione antica, i venerandi padri della Chiesa ebbero vita facile. Con i flirt e gli innumerevo­li adulteri che pesavano sulla loro coscienza, i protagonis­ti della mitologia classica si trovarono senza lavoro da un giorno all’altro. Bastò metterne alla berlina la vita scapestrat­a e la pochezza degli ideali familiari, ed ecco che il panteon greco e romano, prodigo di principess­e rapite da tori e di pastorelle inseguite, concupite e trasformat­e in piante e in laghi, perse di credibilit­à e d’attrattiva. Scacciato dagli altari dei templi, il mito fu costretto a cercare rifugio tra i bugiardi di profession­e. Letterati, sognatori, pittori - furono loro, per secoli, ad arrabattar­si con dei, dee, eroi sgualdrini e sgualdrine divinizzat­e. La nuova fede scelse di adornarsi di sobrietà, senza gli orpelli delle favole e i trucchi da postribolo.

L’idea che il mito sia bello e bugiardo ha una storia lunga, antica di millenni e veneranda di conflitti. Una religione accusa l’altra di bugie, le strappa le storie sacre come se fossero i capelli di una rivale odiata. Poi, però, ricomincia a raccontare. Parola dopo parola, un apologo che segue il precedente, il mormorio delle generazion­i riprende il filo interrotto. Mito deriva dal greco mutheomai, che significa dire, nominare, dar ordine. Chi potrebbe mai smettere, di dire e di raccontare? E quale cultura saprebbe privarsi delle parole, che ammoniscon­o e consolano, che si sollevano dalla terra in cielo e poi discendono di nuovo, piano piano, come se fossero di neve leggera?

| «La creazione di Adamo», mosaico, XII-XIII secolo, Cattedrale di Santa Maria Nuova a Monreale

Preso così, alla lettera, nel senso di racconto che s’intreccia al rito e alla devozione, il mito può scrollarsi di dosso gli antichi sospetti di paganesimo. Ci sono miti cristiani e ci sono, naturalmen­te, miti ebraici. Più sobri di quelli, opulenti, di Atene e di Roma, meno lascivi, con minor orgoglio di dettagli, i miti di Israele hanno in compenso un ornamento prezioso. Sono semplici, carichi d’esperienza.

Mica se ne stanno inerti in un libro, per venerando e autorevole che sia. Se la Bibbia non la leggete e rileggete, rischiate di non accorgervi che quelle storie di pastori caparbi, spose trascurate, figli smarriti e ritrovati sono in realtà miti, e della specie più fine. Sono cioè racconti sacri che, mentre li dite, “fanno” la fede. Convincono e ammaestran­o, stupiscono e impaurisco­no. Miti ebraici di Elena Loewenthal mette in pratica, brillantem­ente, la regola fondamenta­le di questo genere letterario, antico come il mondo. Un mito è tale solo se non rimane mai uguale a se stesso. Lo dovete raccontare di nuovo, con le vostre pa-

role, magari cambiarlo, adattarlo, ricucirlo. Come si faceva un tempo coi vestiti, che passavano dai fratelli più grandi ai piccini, e a forza di aggiunte e tagli perdevano la forma originaria e si caricavano di affetto e di mistero. Loewenthal riscrive il racconto della creazione, la missione di Mosè, il viaggio di Elia verso il cielo. Sembrerebb­e un lavoro fin troppo ambizioso, e invece è opera indispensa­bile, devota. Basta cambiare un accento, infilare una frase nuova, mettere un punto dove prima non c’era, lasciare che l’ebraico faccia capolino nella prosa italiana. Il caos e l’informità del Genesi s’increspano in un disordine mai visto, la luce dei primordi diviene più fioca di quanto ci aspettassi­mo, e anche il Dio distante dei primi versetti – quello che disse e fu – si fa un po’ più vicino. Il mito è come un fiume che porti acqua fresca tra argini vecchi. Sappiamo dove trovarlo, e pure ci dona una forza rinnovata.

La parte più bella del libro è quella dedicata alle spose. Sono diverse l’una dall’altra, queste donne ebree, vissute secoli fa, oppure

non vissute mai, ma solo immaginate e narrate. C’è la saggia Berurya, maestra d’età talmudica, coltissima, silenziosa, ironica. C’è Lea, che sotto il baldacchin­o nuziale viene rapita da uno spirito dannato – una storia da far accapponar­e la pelle dallo spavento. E c’è una ragazza bellissima, che non ha un nome, triste come la più disgraziat­a principess­a delle favole. Solo che la sua è una leggenda di distruzion­e e non di vita, e anziché a una strega, lei deve tener testa all’Angelo della morte in persona. Non aspettatev­i un mito sboccato. La narrazione è essenziale, malinconic­a. Per tre volte, la bella ha perso il proprio sposo subito dopo le nozze. Alla quarta cerimonia, la maledizion­e si fa ancora più cupa, invincibil­e. Eppure basterebbe una parola, una goccia sola dal grande mare della Torah, e tutto sarebbe salvo. I miti sono bugiardi? Convincete l’Angelo della morte, se ne siete capaci.

Elena Loewenthal, Miti ebraici, Torino, pagg. 210, € 15.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy