Giovanissimi conser vator i
Andrea Chinappi con altri studenti romani di filosofia poco più che ventenni si indignano e protestano nel segno di Maccari o Longanesi
Ce l'hanno con la creatività, le startup, i masterchef, le archistar, il finger food, «il conformismo dell'anticonformismo», la mela morsicata di Jobs e le patatine fritte in busta: non sono ultranovantenni indignados, come il compianto polemista Stéphane Hessel, né imberbi reazionari, nostalgici del Ventennio, benché si ispirino alla meglio gioventù degli anni Venti e Trenta, quella dei Maccari, dei Longanesi, dei Malaparte. «Più che reazionari, ci piace definirci classicisti», spiega Andrea Chinappi, tra i fondatori dell'associazione romana Contro Cultura, che da tempo anima il sito L'intellettuale dissidente (www.lintellettualedissidente.it), gestisce la casa editrice Circolo Proudhon e, da un anno esatto, pubblica il trimestrale «scomodo» Il Bestiario degli italiani, «scomodo innanzitutto per il formato, oltre che per i contenuti: per il nostro debutto nel giornalismo cartaceo, abbiamo scelto il “formato lenzuolo”, una grafica di inizio Novecento e una grammatura spessa, ispirandoci a riviste come “Il Selvaggio” di Mino Maccari e “L'Italiano” di Leo Longanesi».
Attenzione, però, a non etichettare l'operazione come «vintage», altra parola a cui Chinappi e soci (Lorenzo Vitelli, Carlotta Correra, Sebastiano Caputo e altri) sono allergici: «Il vintage è un grande controsenso», si legge nel terzo numero della rivista, «è una falsa conservazione, un falso immobilismo, un falso volgersi all'ingenuità che caratterizza i tempi andati... È il conformismo dell'anticonformismo», come già i loro precursori parlavano di «fascismo dell'antifascismo». È curioso, però, che questi ventitreenni, studenti di filosofia all'Università di Roma Tre, prendano a modello intellettuali conservatori, maestri del cinismo più che del sospetto: «L'ambizione è quella di ridar vita al movimento culturale e letterario chiamato “Strapaese” e influenzato non solo da Maccari e Longanesi, ma anche da Prezzolini, Papini, Malaparte, Palazzeschi, Soffici e altri, e poi ripreso a suo modo da Parise, Pasolini, Flaiano, Bianciardi... Tuttavia, fondamentali sono anche i nostri modelli familiari», genuinamente provinciali e “arcitaliani”, appunto.
Il nome del periodico, Bestiario, è mutuato dal lessico medioevale: designava «una particolare categoria di opere didattiche che descrivevano la natura degli animali, reali o immaginari, da cui trarre insegnamenti morali e religiosi». Parimenti il giornale «vuole, oggi, descrivere la natura degli italiani: bestie dai natali mitici, tradizionalisti e anti-burocratici, grotteschi nell'essere al passo con i tempi, eccezionali nell'essere d'altri Mario Damiano, «Sisifo rivisitato», copertina del «Bestiario degli italiani», Anno I numero 3
tempi», scrivono i direttori nella versione online del giornale (www.ilbestiariorivista.it), che spazia dalle notizie di cultura agli elzeviri letterari, dai ritratti di “strapaesani” modello a racconti scapigliati, dalle invettive sarcastiche a vignette e illustrazioni di giovani artisti.
In questi giorni la redazione festeggia il primo anno di vita del Bestiario, «i cui abbonati sono arrivati a 200, più qualche sporadica copia venduta in librerie di fiducia. Il progetto è quello di trasformare il trimestrale in un mensile, per sbarcare anche nel circuito delle edicole. Per ora, i guadagni sono tutti reinvestiti nelle tante attività dell'associazione; in cantiere, abbiamo un festival a Roma e una raccolta fondi per realizzare un documentario on the road, su orrori e bellezze d'Italia, oltre alle numerose presentazioni della rivista e della casa editrice che organizziamo costantemente sul territorio».
Ma da grandi che volete fare? «Gli antipatici, gli scostumati». Ah, gli intellettuali? «No, vogliamo fare i pensatori, non gli intellettuali! Vogliamo raccontare il genio dell'Italia profonda, quella popolare, contadina, anarchica, conservatrice, campanilista, medievale, rurale, anticonformista, oziosa, artigiana». Dopo la globalizzazione, che ha spaesato un po' tutti, meglio rinculare nello Strapaese: «Il passo indietro è evidente: tanti ragazzi come noi stanno tornando alla terra, alla gastronomia, ai prodotti tipici, ma non quelli che vengono commercializzati e venduti a prezzo d'oro nei vari bistrot o nei talent culinari. Quelle sono solo operazioni di marketing, superficiali e retoriche: la realtà è assai diversa dallo storytelling televisivo».
Altro bersaglio del Bestiario è la «fuffa della creatività, un'invenzione programmatica per vendere il superfluo» o la «fuffa delle startup, che contribuiscono al lavoro precario, non creano stabilità economica, sono per la maggior parte votate al fallimento, sono prive di identità e diversificano costantemente la produzione inseguendo mode passeggere». In Italia, però, c'è forse il problema opposto, ovvero l'impossibilità di fondare e avviare una startup... «Non siamo contro questo modello di business in sé», continua Chinappi, «ma ci opponiamo alla retorica tipica dello startupparo, che scimmiotta il mondo anglosassone solo per darsi un tono e sottintende, viceversa, un complesso di inferiorità nei confronti dell'America o di Londra o di altri paesi giudicati più “avanti”. In questa veste esterofila siamo grotteschi».
Fregandosene di passare per passatisti, Chinappi e compagni sostengono che «la creatività italiana sia da sempre la capacità di coniugare l'utile con il bello: la nostra ricchezza è l'artigianato, tutto all'opposto delle contemporanee creazioni delle archistar, né utili né belle. Ora stiamo lavorando a un numero sulla bellezza dell'ignoranza, che è ciò che ci salverà dopo il collasso, ovvero la nostra allergia al progresso fuffoso, il nostro attaccamento al passato e al provincialismo, la nostra imperitura resistenza al cambiamento, il nostro ironico disincanto, la nostra solida concretezza opposta alle mode effimere... un po' come Alberto Sordi nel film Le vacanze intelligenti», in cui si aggirava incredulo e cafone tra i padiglioni della Biennale di Venezia. Il maestro Ennio avrebbe detto: «Chi vive nel nostro tempo è vittima di nevrosi. Per vivere bene non bisogna essere contemporanei».