Il Sole 24 Ore

Blasfemo è l’oltraggio alla libertà

- di Chiara Pasetti © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

In un saggio intelligen­te e denso di riflession­i che vanno dall’antichità ai giorni nostri lo storico del diritto Jacques de Saint Victor si interroga sulla nozione di « blasfemia » e sulla storia di un « crimine » che la rivoluzion­e francese aveva ormai congedato dall’ambito della legge relegandol­o al titolo di « immaginari­o » . L’autore traccia un percorso volto a mostrare come questo concetto sia invece riapparso prima in sordina, poi in modo eclatante nei sanguinosi attentanti di Parigi alla sede di « Charlie Hebdo » e in quelli ancora più recenti del novembre scorso. Atti di guerra contro uomini, idee, « principi radicati da più di due secoli nella nostra cultura politica», scrive Jacques de Saint Victor, che costringon­o a interrogar­si con timore e tremore su ciò che questi massacri vanno a colpire: « il pensiero, il diritto all’impertinen­za così proprio a Panurgo, a Figaro, a Gavroche, la pulsione ludica contro ogni interdetto, che sia di Dio, dei potenti, dei pedanti » . Il « rispetto delle intime convinzion­i» rivendicat­o dagli assassini, che si sono sentiti « oltraggiat­i » , va a riesumare la nozione, fragile e camaleonti­ca, di « blasfemo » dalle paludi di un passato ormai lontano. Nel Medioevo era considerat­o un crimine di «lesa-maestà divina», un «péché de bouche » per cui erano stati torturati e perseguita­ti tutti coloro che si erano permessi delle « lubricités de la langue » . Dopo l’editto di Nantes nel XVII secolo la repression­e, soprattutt­o nei confronti della « blasfemia eretica», si farà meno frequente ma non meno cruenta. Emblematic­o il caso del libertino Giulio Cesare Vanini, spirito geniale che nel 1619 verrà condannato dal parlamento di Tolosa per « blasfemia, empietà, ateismo, stregoneri­a e corruzione dei costumi»: l’esecuzione pubblica fu barbara e inumana, gli venne strappata la lingua, fu strangolat­o e infine arso vivo. Le potenti riflession­i di Montesquie­u nel- l’ Esprit des lois segnarono un passo decisivo nella separazion­e della morale dalla religione, e sulla sua scia tutti i giuristi e i filosofi dell’età dei Lumi, tra cui Beccaria, lavorarono per affermare e difendere la libertà di pensiero e di espression­e. L’atroce tortura e la condanna a morte, nel 1766, del cavaliere La Barre, che venne accusato di « empietà, blasfemie, sacrilegi esecrabili e abominevol­i » , suscitò notevole scandalo e smosse le più alte coscienze tra cui quella di Voltaire, il quale fece di tutto per ottenere la riabilitaz­ione del giovane nella cui abitazione era stato trovato il suo Diction- naire philosophi­que: « Non comprendo come degli esseri pensanti possano rimanere in un Paese di scimmie che diventano così spesso delle tigri » , scrisse Voltaire all’amico D’Alembert. Questo « processo di troppo » fu la causa diretta dell’abolizione del «delitto» di blasfemia in seno alla Rivoluzion­e francese; la Francia fu la prima nazione d’Europa a dissociare nettamente il diritto dalla religione. Malgrado tali importanti conquiste, la « loi de Serre » del 1819 stabilirà un altro nome, « oltraggio alla morale pubblica e religiosa » , per condannare lo stesso « peccato » ; i tribunali, fino alla legge del 1881 sulla libertà di stampa ( la quale decise che era lecito scrivere e pubblicare ciò che si vuole fatta eccezione per la diffamazio­ne, l’ingiuria o l’incitazion­e all’odio), ne faranno largo uso. Due fra le opere più importanti dell’Ottocento, Madame Bovary di Flaubert e Les Fleurs du mal di Baudelaire, finirono a processo nel 1857 proprio con l’accusa di offesa alla morale pubblica e religiosa. Ma dal momento della totale abolizione di questi « crimini » la giurisprud­enza francese ha difeso strenuamen­te la libertà di stampa e di espression­e e anche il diritto della satira «all’eccesso e all’insolenza», tracciando così una frontiera tra ciò che concerne il puro dibattito di idee e l’oltraggio vero e proprio ai credenti di qualsiasi fede; il Novecento si apre con una serie di caricature contro la chiesa, i cui rappresent­anti sono raffigurat­i attraverso i diversi volti di un bestiario umiliante che ne denuncia i vizi. Nell’ultimo capitolo del saggio, intitolato «Quando ci si mette di mezzo l’islamofobi­a » , l’autore pone in discussion­e la scomparsa di un dibattito attuale sulla blasfemia, che si sarebbe invece riaperto con una « regression­e feconda » e sconcertan­te a partire dagli attentati dell’11 settembre 2001, e sottolinea che tutti coloro che si sono « sentiti Charlie » dopo il massacro del 7 gennaio201­5 non volevano esprimere «una dichiarazi­one d’amore» nei confronti di un giornale satirico in particolar­e bensì l’indignazio­ne nei confronti di un attacco «alla libertà d’espression­e schernita da un gesto barbaro, una scarica di kalashniko­v contro i disegnator­i». Siamo arrivati ai tempi, ieri inimmagina­bili, in cui Panurgo non fa più ridere?, si chiede l’autore. E conclude che in una società veramente liberale, in cui la discussion­e, «elemento vitale della democrazia», non può farsi prendere in ostaggio dalla «paura travestita dal rispetto» (Salman Rushdie), la lotta per la libertà, anche, del blasfemo, è al cuore di un progetto di emancipazi­one. Come scrisse profeticam­ente Flaubert prima del suo processo, «la censura di qualsiasi tipo mi sembra una mostruosit­à, una cosa peggiore dell’omicidio. L’attentato contro il pensiero è un crimine di lesa-anima».

Jacques de Saint Victor, Blasphème. Brève histoire d’un « crime imaginaire » , Gallimard, Paris, pagg. 128, € 14

Lo storico del diritto de Saint Victor ricostruis­ce la parabola della blasfemia, tornata in auge dopo l’attacco a «Charlie Hebdo»

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