Blasfemo è l’oltraggio alla libertà
In un saggio intelligente e denso di riflessioni che vanno dall’antichità ai giorni nostri lo storico del diritto Jacques de Saint Victor si interroga sulla nozione di « blasfemia » e sulla storia di un « crimine » che la rivoluzione francese aveva ormai congedato dall’ambito della legge relegandolo al titolo di « immaginario » . L’autore traccia un percorso volto a mostrare come questo concetto sia invece riapparso prima in sordina, poi in modo eclatante nei sanguinosi attentanti di Parigi alla sede di « Charlie Hebdo » e in quelli ancora più recenti del novembre scorso. Atti di guerra contro uomini, idee, « principi radicati da più di due secoli nella nostra cultura politica», scrive Jacques de Saint Victor, che costringono a interrogarsi con timore e tremore su ciò che questi massacri vanno a colpire: « il pensiero, il diritto all’impertinenza così proprio a Panurgo, a Figaro, a Gavroche, la pulsione ludica contro ogni interdetto, che sia di Dio, dei potenti, dei pedanti » . Il « rispetto delle intime convinzioni» rivendicato dagli assassini, che si sono sentiti « oltraggiati » , va a riesumare la nozione, fragile e camaleontica, di « blasfemo » dalle paludi di un passato ormai lontano. Nel Medioevo era considerato un crimine di «lesa-maestà divina», un «péché de bouche » per cui erano stati torturati e perseguitati tutti coloro che si erano permessi delle « lubricités de la langue » . Dopo l’editto di Nantes nel XVII secolo la repressione, soprattutto nei confronti della « blasfemia eretica», si farà meno frequente ma non meno cruenta. Emblematico il caso del libertino Giulio Cesare Vanini, spirito geniale che nel 1619 verrà condannato dal parlamento di Tolosa per « blasfemia, empietà, ateismo, stregoneria e corruzione dei costumi»: l’esecuzione pubblica fu barbara e inumana, gli venne strappata la lingua, fu strangolato e infine arso vivo. Le potenti riflessioni di Montesquieu nel- l’ Esprit des lois segnarono un passo decisivo nella separazione della morale dalla religione, e sulla sua scia tutti i giuristi e i filosofi dell’età dei Lumi, tra cui Beccaria, lavorarono per affermare e difendere la libertà di pensiero e di espressione. L’atroce tortura e la condanna a morte, nel 1766, del cavaliere La Barre, che venne accusato di « empietà, blasfemie, sacrilegi esecrabili e abominevoli » , suscitò notevole scandalo e smosse le più alte coscienze tra cui quella di Voltaire, il quale fece di tutto per ottenere la riabilitazione del giovane nella cui abitazione era stato trovato il suo Diction- naire philosophique: « Non comprendo come degli esseri pensanti possano rimanere in un Paese di scimmie che diventano così spesso delle tigri » , scrisse Voltaire all’amico D’Alembert. Questo « processo di troppo » fu la causa diretta dell’abolizione del «delitto» di blasfemia in seno alla Rivoluzione francese; la Francia fu la prima nazione d’Europa a dissociare nettamente il diritto dalla religione. Malgrado tali importanti conquiste, la « loi de Serre » del 1819 stabilirà un altro nome, « oltraggio alla morale pubblica e religiosa » , per condannare lo stesso « peccato » ; i tribunali, fino alla legge del 1881 sulla libertà di stampa ( la quale decise che era lecito scrivere e pubblicare ciò che si vuole fatta eccezione per la diffamazione, l’ingiuria o l’incitazione all’odio), ne faranno largo uso. Due fra le opere più importanti dell’Ottocento, Madame Bovary di Flaubert e Les Fleurs du mal di Baudelaire, finirono a processo nel 1857 proprio con l’accusa di offesa alla morale pubblica e religiosa. Ma dal momento della totale abolizione di questi « crimini » la giurisprudenza francese ha difeso strenuamente la libertà di stampa e di espressione e anche il diritto della satira «all’eccesso e all’insolenza», tracciando così una frontiera tra ciò che concerne il puro dibattito di idee e l’oltraggio vero e proprio ai credenti di qualsiasi fede; il Novecento si apre con una serie di caricature contro la chiesa, i cui rappresentanti sono raffigurati attraverso i diversi volti di un bestiario umiliante che ne denuncia i vizi. Nell’ultimo capitolo del saggio, intitolato «Quando ci si mette di mezzo l’islamofobia » , l’autore pone in discussione la scomparsa di un dibattito attuale sulla blasfemia, che si sarebbe invece riaperto con una « regressione feconda » e sconcertante a partire dagli attentati dell’11 settembre 2001, e sottolinea che tutti coloro che si sono « sentiti Charlie » dopo il massacro del 7 gennaio2015 non volevano esprimere «una dichiarazione d’amore» nei confronti di un giornale satirico in particolare bensì l’indignazione nei confronti di un attacco «alla libertà d’espressione schernita da un gesto barbaro, una scarica di kalashnikov contro i disegnatori». Siamo arrivati ai tempi, ieri inimmaginabili, in cui Panurgo non fa più ridere?, si chiede l’autore. E conclude che in una società veramente liberale, in cui la discussione, «elemento vitale della democrazia», non può farsi prendere in ostaggio dalla «paura travestita dal rispetto» (Salman Rushdie), la lotta per la libertà, anche, del blasfemo, è al cuore di un progetto di emancipazione. Come scrisse profeticamente Flaubert prima del suo processo, «la censura di qualsiasi tipo mi sembra una mostruosità, una cosa peggiore dell’omicidio. L’attentato contro il pensiero è un crimine di lesa-anima».
Jacques de Saint Victor, Blasphème. Brève histoire d’un « crime imaginaire » , Gallimard, Paris, pagg. 128, € 14
Lo storico del diritto de Saint Victor ricostruisce la parabola della blasfemia, tornata in auge dopo l’attacco a «Charlie Hebdo»