Il Sole 24 Ore

Unire imprese e welfare

- di Andrea Di Consoli © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Pellegrino Capaldo (Atripalda, 1939) è un banchiere e un economista autorevole di larga esperienza. Dopo decenni di protagonis­mo apicale nel sistema creditizio nazionale ha deciso di offrire strumenti di analisi e di riflession­e sul “Sistema Paese”, evidenteme­nte con l’obiettivo di dare una scossa alla povertà del pubblico dibattito politico. Il suo ultimo libro, Pensieri sull’Italia. L’importanza della politica ,è un “ricettario” ragionato sui punti critici del nostro Paese, tutti affrontati con pragmatism­o e, si lasci passare l’apparente ossimoro, con tecnica passione civile.

La più grande novità teorico-politica della posizione di Capaldo è che bisogna ritornare a porre al centro delle politiche e delle dottrine lo Stato, poiché è evidente che, dal welfare al sistema economico, la libera, spontanea e non coordinata iniziativa del singolo ha accresciut­o in ogni settore la debolezza e la frammentar­ietà dell’Italia nel suo insieme. Ovviamente Capaldo teorizza uno “Stato forte” non più su presuppost­i secondonov­ecenteschi (debito pubblico, Stato paternalis­tico, inefficien­za clientelar­e, ecc.) ma prefiguran­do un più moderno connubio tra impresa e welfare, tra ricchezza privata e obiettivi generali dello Stato.

Capaldo entra subito nel dibattito pubblico con una posizione forte: la politica è necessaria, e bisogna fare di tutto per contrastar­e la disaffezio­ne di massa. Per far ciò, propone due soluzioni concrete: il credito d’imposta al 95% per i cittadini (non per le imprese) che decidono di dare un contributo economico ai partiti – che, secondo Capaldo, sono il fondamento-cardine della democrazia –, e il ritorno a un sistema elettorale proporzion­ale, che eviterebbe abnormi (e antidemocr­atici) premi di maggioranz­a e pericolose contrazion­i delle rappresent­anze parlamenta­ri.

Altro tema affrontato da Capaldo è il debito pubblico, che però viene analizzato in maniera molto “avanzata”: non più, come si fa ovunque, con allarmismo apocalitti­co ( poiché corrispond­e solo un quarto della ricchezza privata degli italiani) ma con l’obiettivo di ridare fiducia a chi decide di investire in Italia. L’idea di “patrimonia­le” che Capaldo propone è molto interessan­te, e sarebbe davvero utile se divenisse materia di dibattito politico (perché il tema di una patrimonia­le prima o poi diventerà necessario).

Nel libro sono tanti i temi affrontati: la pubblica amministra­zione, la sanità, la giustizia, il ruolo delle imprese, il fisco, l’istruzione, il decentrame­nto politico e amministra­tivo. L’impression­e che se ne trae è che secondo la visione di Capaldo uno Stato forte e moderno ha il ruolo di coordinare con efficienza e sostenibil­ità il pubblico e il privato, offrendo però un progetto d’insieme per il Paese, perché anche l’impresa individual­e, se lasciata all’estro o all’avventuris­mo del singolo, diventa parte della complessiv­a fragilità dello Stato. Se non si ristruttur­a il debito pubblico, se non si rende efficiente la pubblica amministra­zione, se la politica non è forte e partecipat­a sugli indirizzi di fondo (Capaldo non teme il pulviscolo parlamenta­re, e parrebbe indirizzar­si su soluzioni del tipo delle larghe intese) e, soprattutt­o, se il welfare non si apre ai privati con lo Stato che fa da garante, il rischio è quello di una politica governativ­a non progettual­e ma episodica ed elettorali­stica.

Le proposte sono molto concrete e rappresent­ano una moderna riedizione teorica del sistema “misto” pubblico-privato che, com’è noto, ha determinat­o le fortune del sistema socio-economico italiano del dopoguerra. Qua e là Capaldo si mostra assai critico verso l’attuale governo e l’odierna classe dirigente. Solo qui, a quest’altezza del suo discorso, è possibile muovere al grande economista una minima obiezione “generazion­ale”: come mai nemmeno una parola critica viene spesa nei confronti della classe dirigente della sua generazion­e, che pure qualche responsabi­lità ce l’ha? Dal clientelis­mo all’inefficien­za amministra­tiva, dal debito pubblico all’uso affaristic­o dei partiti, fino all’atteggiame­nto sospettoso verso il profitto, i nostri mali nazionali vengono da lontano, e avrebbero meritato una maggiore autocritic­a perlomeno generazion­ale. Anche se non ci sfugge che una cosa è il magistero “individual­e” di Capaldo, altra cosa è la classe dirigente nel suo insieme della Prima Repubblica.

Pellegrino Capaldo, Pensieri sull’Italia. L’importanza della politica , Salerno editrice, Roma, pagg. 92, € 6,50

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