Unire imprese e welfare
Pellegrino Capaldo (Atripalda, 1939) è un banchiere e un economista autorevole di larga esperienza. Dopo decenni di protagonismo apicale nel sistema creditizio nazionale ha deciso di offrire strumenti di analisi e di riflessione sul “Sistema Paese”, evidentemente con l’obiettivo di dare una scossa alla povertà del pubblico dibattito politico. Il suo ultimo libro, Pensieri sull’Italia. L’importanza della politica ,è un “ricettario” ragionato sui punti critici del nostro Paese, tutti affrontati con pragmatismo e, si lasci passare l’apparente ossimoro, con tecnica passione civile.
La più grande novità teorico-politica della posizione di Capaldo è che bisogna ritornare a porre al centro delle politiche e delle dottrine lo Stato, poiché è evidente che, dal welfare al sistema economico, la libera, spontanea e non coordinata iniziativa del singolo ha accresciuto in ogni settore la debolezza e la frammentarietà dell’Italia nel suo insieme. Ovviamente Capaldo teorizza uno “Stato forte” non più su presupposti secondonovecenteschi (debito pubblico, Stato paternalistico, inefficienza clientelare, ecc.) ma prefigurando un più moderno connubio tra impresa e welfare, tra ricchezza privata e obiettivi generali dello Stato.
Capaldo entra subito nel dibattito pubblico con una posizione forte: la politica è necessaria, e bisogna fare di tutto per contrastare la disaffezione di massa. Per far ciò, propone due soluzioni concrete: il credito d’imposta al 95% per i cittadini (non per le imprese) che decidono di dare un contributo economico ai partiti – che, secondo Capaldo, sono il fondamento-cardine della democrazia –, e il ritorno a un sistema elettorale proporzionale, che eviterebbe abnormi (e antidemocratici) premi di maggioranza e pericolose contrazioni delle rappresentanze parlamentari.
Altro tema affrontato da Capaldo è il debito pubblico, che però viene analizzato in maniera molto “avanzata”: non più, come si fa ovunque, con allarmismo apocalittico ( poiché corrisponde solo un quarto della ricchezza privata degli italiani) ma con l’obiettivo di ridare fiducia a chi decide di investire in Italia. L’idea di “patrimoniale” che Capaldo propone è molto interessante, e sarebbe davvero utile se divenisse materia di dibattito politico (perché il tema di una patrimoniale prima o poi diventerà necessario).
Nel libro sono tanti i temi affrontati: la pubblica amministrazione, la sanità, la giustizia, il ruolo delle imprese, il fisco, l’istruzione, il decentramento politico e amministrativo. L’impressione che se ne trae è che secondo la visione di Capaldo uno Stato forte e moderno ha il ruolo di coordinare con efficienza e sostenibilità il pubblico e il privato, offrendo però un progetto d’insieme per il Paese, perché anche l’impresa individuale, se lasciata all’estro o all’avventurismo del singolo, diventa parte della complessiva fragilità dello Stato. Se non si ristruttura il debito pubblico, se non si rende efficiente la pubblica amministrazione, se la politica non è forte e partecipata sugli indirizzi di fondo (Capaldo non teme il pulviscolo parlamentare, e parrebbe indirizzarsi su soluzioni del tipo delle larghe intese) e, soprattutto, se il welfare non si apre ai privati con lo Stato che fa da garante, il rischio è quello di una politica governativa non progettuale ma episodica ed elettoralistica.
Le proposte sono molto concrete e rappresentano una moderna riedizione teorica del sistema “misto” pubblico-privato che, com’è noto, ha determinato le fortune del sistema socio-economico italiano del dopoguerra. Qua e là Capaldo si mostra assai critico verso l’attuale governo e l’odierna classe dirigente. Solo qui, a quest’altezza del suo discorso, è possibile muovere al grande economista una minima obiezione “generazionale”: come mai nemmeno una parola critica viene spesa nei confronti della classe dirigente della sua generazione, che pure qualche responsabilità ce l’ha? Dal clientelismo all’inefficienza amministrativa, dal debito pubblico all’uso affaristico dei partiti, fino all’atteggiamento sospettoso verso il profitto, i nostri mali nazionali vengono da lontano, e avrebbero meritato una maggiore autocritica perlomeno generazionale. Anche se non ci sfugge che una cosa è il magistero “individuale” di Capaldo, altra cosa è la classe dirigente nel suo insieme della Prima Repubblica.
Pellegrino Capaldo, Pensieri sull’Italia. L’importanza della politica , Salerno editrice, Roma, pagg. 92, € 6,50