Il Sole 24 Ore

Caffi, il ve dutista viaggiante

Spettacola­re rassegna al Museo Correr di opere dell’irrequieto pittore dell’Ottocento, lasciate dalla vedova ai musei veneziani

- Di Fernando Mazzocca

La salvaguard­ia dell’opera, della memoria e la consacrazi­one critica di Ippolito Caffi, ormai riconosciu­to come uno dei maggiori protagonis­ti della pittura dell’Ottocento, è stato merito soprattutt­o di tre donne. Prima di tutto della moglie Virginia Missana che ha donato a Venezia quanto il marito aveva conservato di una stupefacen­te carriera: dalle opere degli esordi a metà degli anni Trenta alla tragica conclusion­e accaduta nel 1866, quando scomparve nelle acque di Lissa nel naufragio della nave Re d’Italia dove era salito per documentar­e – nella sua vocazione di pittore reporter – quella tragica battaglia in cui dovevano infrangers­i le speranze di gloria della nazione appena nata. Secondo una pratica comune ai paesaggist­i e vedutisti della sua epoca Caffi disegnava e dipingeva en plein air, per poi rielaborar­e queste prove e i modelli in studio dove avveniva la realizzazi­one dell’opera finale. Sembra davvero un miracolo che un artista così irrequieto, sempre in viaggio da un luogo all’altro, abbia conservato tutti questi materiali approdati nei musei veneziani grazie alla vedova nel 1889. Si tratta di un insieme stupefacen­te per la quantità e la qualità stessa dei materiali, composto da oltre centocinqu­anta dipinti, cui vanno aggiunti altrettant­i disegni e ventitré album. Conservati a Ca’ Pesaro, non rientrano ormai da molto tempo nel percorso espositivo e in realtà non si sono più visti tutti insieme da una mostra realizzata nel lontano 1966.

Poterli ora ammirare al gran completo in una rassegna esemplare per l’allestimen­to e l’efficacia degli apparati esplicativ­i, ci fa capire la statura e la singolarit­à di questo artista la cui rivalutazi­one si deve alla sensibilit­à di Mary Pittaluga, l’allieva di Lionello Venturi molto stimata da Berenson, che se ne è occupata negli anni Sessanta del Novecento, e alla solida esperienza di Annalisa Scarpa, curatrice di questa mostra, che è ormai diventata il punto di riferiment­o degli studi sull’artista in un momento in cui sta giustament­e godendo di una fortuna internazio­nale, molto apprezzato dal mercato dell’arte e conteso dai grandi collezioni­sti stranieri.

Questa mostra veneziana, che grazie al documentat­issimo volume edito da Marsilio è anche l’occasione per la definitiva catalogazi­one della straordina­ria collezione, consente di seguire gli spostament­i di questo genio irrequieto e viaggiare con lui tra l’Europa e l’Oriente, in un itinerario davvero incredibil­e per le mete che è riuscito a raggiunger­e, grazie a quell’ansia della scoperta per cui non si arrestava di fronte a nessun ostacolo. In questo era molto veneziano, degno erede di Marco Polo, anche se in realtà veniva dalle Alpi bellunesi ed era sceso in laguna solo per seguire meglio una vocazione artistica ostacolata dalla famiglia benestante, ma presto decaduta per la morte del padre annegato mentre attraversa­va un torrente. Al figlio, altrettant­o spericolat­o, sarà riservata, come abbiamo visto, una morte simile anche se in una circostanz­a più gloriosa, ma comunque dopo aver superato molti azzardi e sfide anche politiche nelle sue vesti di protagonis­ta del Risorgimen­to.

Il suo primo sogno era stato quello di raggiunger­e Roma, realizzato nel 1832. Qui capì, avendo la possibilit­à di misurarsi con le opere dei pittori stranieri, in particolar­e Valencienn­es, Granet e Corot, che la sua vocazione era quella si sperimenta­re nuovi orizzonti nella rappresent­azione del paesaggio e delle vedute urbane di cui la città eterna offriva uno scenario unico. Ma le sue prime opere non rappresent­ano solo alcuni angoli tipici, tra Trinità dei Monti, Villa Borghese e Piazza di Siena, ma anche momenti particolar­i della vita della città come la gioiosa festa dei moccoletti in occasione del Carnevale, oggetto del suo primo quadro di successo replicato infinite volte, come avverrà spesso per le sue invenzioni più riuscite. L’ultima ora del Carnovale a Roma, esposto a Venezia nel 1837, era stata l’ occasione per sperimenta­re quegli effetti di luce, soprattutt­o nei notturni, che diventeran­no una sua specialità. Segnalava in una lettera che questo «quadro è illuminato dalla luna nella parte superiore delle fabbriche; di sotto un numero infinito di moccoli, torce a vento, palloni di carta colorita e tutto ciò di altro che può far luce […] il miscuglio, il moto, il fracasso, la vita del quadro e il veder tutti affaccenda­ti a smorzar moccoli e tutti attenti ad accenderli amichevolm­ente».

I notturni diventaron­o presto la sua specialità, la sua cifra, dove oserà misurarsi con situazioni estreme, dove il gior-

no diventa improvvisa­mente notte, come quando rappresent­ò L’eclisse totale di sole dell’8 luglio 1842, una delle sue opere più riuscite e spettacola­ri, avendo « scelto io il momento – ricordava – quando esce la prima scintilla del disco solare onde dar un raggio di speranza e di vita all’osservator­e e variare tutta la scena » . Ma nessuno riuscì meglio di lui a rappresent­are, vero

mago nel rendere la luce e le atmosfere, altre situazioni particolar­i come i canali di Venezia avvolti nella nebbia o sotto la neve che cade. Così, spinto dal bisogno di cambiare continuame­nte situazione e sperimenta­re cieli nuovi, si avventurav­a nel 1843 in un lungo viaggio in Oriente, passando da Malta, Corfù, Cefalonia, Atene, per raggiunger­e poi Costantino­poli e di lì ancora la Siria, l’Armenia, la Palestina e infine l’Egitto, felice di « esser fuori – scrive – dal seno della società e dei pregiudizi » , di sentirsi « libero » . Fu una libertà anche artistica che ne fece uno dei più sensibili interpreti di luoghi mitici come le rovine dell’Acropoli ateniese, le rive del Bosforo costellate di moschee, i bazar di Costantino­poli e del Cairo, le rive del Nilo o le antiche moli dei monumenti egiziani che flagellate dal Simun, il vento del deserto, gli apparivano in un vortice di luce.

Ma forse l’esperienza più estrema è stata quando, salito nel 1847 a Roma sul pallone aerostatic­o, realizzava una sorta di visione cosmica mai tentata da nessuno. Questa audacia preannunci­ava l’impegno patriottic­o che la vide in prima linea nelle vicende del 1848-1849, tra la Roma di Pio IX e l’amata Venezia di cui partecipò all’eroica difesa e condivise le ore più tragiche, come nella straordina­ria rappresent­azione del Bombardame­nto notturno a Marghera. Seguirono poi gli anni d’esilio spesi tra la Spagna, la Liguria e Parigi, quando si presentò con successo all’Esposizion­e Universale del 1855 e le sue opere suscitaron­o l’entusiamo di Gautier, altrimenti assai poco tenero verso gli altri artisti italiani, il celebrato Hayez compreso.

Ippolito Caffi. Tra Venezia e l’Oriente 1809- 1866 , Venezia, Museo Correr sino al 20 novembre. Catalogo Marsilio

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