Lo stato patrimionale medtech dell’ospedale italiano
Per introdurre un nuovo prodotto dobbiamo sapere chi sono gli interlocutori
Come si introduce un innovazione in ospedale? Con chi e di che cosa si deve parlare affichè questa venga acquistata? Oggi il panorama del sistema sanitario nazionale è fatto da diverse figure, con punti di vista differenti, e ruolo diversi. Prima l'unico decisore era il medico, ora il sistema acquisti è molto più complicato e strutturato. L'ultimo miglio, quindi, potrebbe essere il vero ostacolo per le startup biomedicali, che si devono inserire in una realtà in cui da un lato se non si innova si tengono a freno i costi, ma dall'altro si rischia l'immobilismo scientifico.
L'ospedale è una grande azienda a tutti gli effetti, per numero di dipendenti, per asset, per valore delle tecnologie, per fatturato spiega l'ingegnere Paolo Pari, del consiglio direttivo dell'Associazione italiana ingegneri clinici -. Il valore del parco scientifico tecnologico biomedico di un ospedale medio vale 40 milioni. Ma quello che distingue l'ospedale da altre aziende di pari dimensioni è l'enorme eterogeneità di tecnologie. Da questo punto di vista l'ospedale è una holding, rappresentata dai vari di- partimenti e dai reparti, che arriva ad avere qualcosa come 320 classi diverse di tecnologie all'interno di un'unica struttura. Sono questi gli interlocutori con cui le startup hanno a che fare. Quando si sottopone una nuova tecnologia, il management dell'ospedale deve capire come integrare il nuovo strumento nello scenario generale.
Uno sguardo al trend mostra che gli anni caratterizzati da un incremento della numerosità delle attrezzature in servizio sono finiti, mentre il valore della sostituzione tende ad aumentare. Quello che invece tende a diminuire è il tempo di vita medio di una tecnologia che si accorcia molto, perché il “nuovo” resta efficiente fino a quando qualcosa d'altro per effetto dell'innovazione ne prevarica le funzioni rendendolo obsoleta.
Da un punto di vista del ciclo di vita di un prodotto, sono quattro le fasi: programmazione acquisti, pianificazione degli investimenti, valutazione della tecnologia, progettazione funzionale. Tutto questo ha una durata di diversi mesi. La fase più snella riguarda invece l’accetazione, l’installazione e la validazione dell’attività funzionale.
A oggi il processo che consente di valutare quali sono gli impatti dell'introduzione di una nuova tecnologia, oltre a essere di tipo interdisciplinare, non distingue se si tratta di un device nuovo o se è innovativo. La trafila resta la medesima e chiama in causa clinici, infermieri, tecnici, ingegneri, amministrativi, associazioni dei pazienti...
«C'è una direzione generale che deve dare gli indirizzi strategici nell'ambito di una programmazione, c'è una direzione sanitaria che deve occuparsi dell'analisi dei bisogni clinici e la validazione , c'è una direzione tecnica che deve fare ricerche di mercato per identificare le tecnologie alterantive». Ciò detto c’è il tema della centralità degli acquisti. Il sistema pubblico ha ritenuto e valutato di centralizzare con grandissime gare di appalto l'acquisizione dei prodotti, che se da un lato porta a una riduzione dei costi, dall’altro potrebbe non rispondere ai bisogni dell'utenza che li utilizza. In tema di innovazione, il nuovo codice degli appalti ha introdotto strumenti specifici che consentono di costruire dei percorsi specifici e adeguati nel caso ci sia una tecnologia innovativa che deve essere validata.
«La centralizzazione degli acquisti non è il modo migliore per l'acquisto di una tecnologia che si affaccia per la prima volta sul mercato – commenta Paolo Gazzaniga, direttore Centro sudi di Assobiomedica -. In genere, viene provata in pochi centri e poi si diffonde. Se impera una logica per cui una certa tecnologia viene acquistata da una stazione appaltante per tutti, difficilemnte verrà scritto che si debba premiare il prodotto nuovo rispetto a quello che da vent'anni ha un certo prezzo e un collaudo. I paesi che hanno adottato un modello di centralizzazione più spinto, hanno visto diminuire e rallentare il sistema di diffusione dell'innovazione, soprattutto in ambito pubblico».