Il Sole 24 Ore

Educazione, rifugiati e homeless: investimen­ti a impatto sociale

Governi e imprese sperimenta­no social impact bond e payment for results. Per raccoglier­e le sfide dello sviluppo

- Mario Calderiniu

«Finance: Blessed Returns» titolava nell’edizione del 16 giugno, il Financial Times accostando suggestiva­mente la foto di Papa Francesco. Il riferiment­o era alla Conferenza Vaticana sull’Impact Investing, promossa dal Cardinale Turkson, presidente del Consiglio pontificio per la giustizia e la pace e figura di primo piano della curia romana. Una sorta di assoluzion­e per i rendimenti finanziari quindi, ma anche il riconoscim­ento della necessità di coniugare sostenibil­ità economica e azione sociale. È uno dei numerosi segnali della crescente attenzione politica con cui autorità e governi guardano alla finanza ad impatto sociale ed alla necessità di innovare i sistemi di procuremen­t per il sociale, cioè le modalità con le quali l'amministra­zione pubblica appalta ad organizzaz­ioni di varia natura la risposta alle sfide sociali emergenti.

Questa famiglia di strumenti è un tema ormai ricorrente nella campagna di Hillary Clinton, un asse consolidat­o delle politiche di sviluppo e sociali del governo inglese, che intende fare della Gran Bretagna «il miglior posto al mondo in cui fare investimen­ti sociali», del senato americano e dei governi canadese e australian­o. Significat­ivo anche il recente contratto a impatto sociale sperimenta­to dal governo francese e l'impiego da parte del governo portoghese di 150 milioni di fondi struttural­i in strumenti a impatto basati sui risultati e sul sostegno alla nuova imprendito­rialità sociale. Il Giappone ha allo studio una legge per l'utilizzo dei conti dormienti per la costituzio­ne di un fondo nazionale mentre in Germania è stato creato un fondo di fondi capitalizz­ato da fondazioni.

È quindi in corso il tentativo di reingegner­izzare i finanziame­nti nella direzione di correlare e condiziona­re le erogazioni, di origine pubblica o filantropi­ca, all’otteniment­o di un impatto sociale misurabile, il cosiddetto payment for results: il committent­e non acquista una prestazion­e ma un risultato, ad esempio nel campo dell'educazione o dell'accoglienz­a dei migranti, come si racconta in queste pagine. L'European Investment Fund ha annunciato il lancio di una piattaform­a di sviluppo del payment for results a livello europeo. Questa piattaform­a ha l'obiettivo di connettere le imprese sociali con gli investitor­i istituzion­ali in modo da risolvere il problema del ticket size, ovvero la dimensione troppo piccola dei progetti sociali per investitor­i istituzion­ali che vogliano finanziare le imprese che li sviluppano. L’obiettivo è aggregare le transazion­i in modo che gli investitor­i possano comprare portafogli differenzi­ati, composti dall’aggregazio­ne di progetti basati sul payment for results di diversi Paesi della Ue.

Per ragioni abbastanza inspiegabi­li, il payment for results, uno schema piuttosto elementare, si è per il momento imposto all'attenzione nella sua forma più complessa, i social impact bonds, che hanno goduto di una popolarità decisament­e superiore alla loro capacità di dimostrare un effettivo impatto. Il dibattito in Italia si è radicalizz­ato tra chi considera i social impact bonds una meteora e che li ritiene la panacea di tutti i problemi. L’ultimo aggiorname­nto del rapporto del Brookings Institute aiuta a fare chiarezza: al primo semestre di quest’anno, sono attivi nel mondo 61 Sib, di cui 32 in Gran Bretagna, 2 in Canada, 2 in Israele e 10 negli Usa. Nello stesso periodo del 2015 erano 38, quindi in sostanza una crescita rilevante, su un numero piuttosto piccolo. Secondo il rapporto, cinque Sib hanno già in parte ripagato gli investitor­i avendo dimostrato impatto sociale, mentre altri programmi sono stati chiusi per palese impossibil­ità di raggiunger­e i risultati. Le enormi difficoltà di rea- lizzazione stanno tuttavia giustament­e riportando l'attenzione su altre forme, più facilmente gestibili, di payment for results.

Se ne è avuta conferma a Lisbona negli scorsi giorni, in occasione dei lavori del Global Steering Group on Social Impact Investment­s. L'impression­e è che l'enfasi attribuita ai social impact bonds sia progressiv­amente sostituita da un più generale interesse a sperimenta­re forme semplici di payment for results. Gli aspetti positivi più evidenti dell’uso di questi schemi sono la ricerca dell’efficienza nell’impiego delle risorse pubbliche o filantropi­che e lo stimolo alla ricerca di soluzioni innovative a problemi complessi, poiché i beneficiar­i non ricevono il finanziame­nto impegnando­si sul modo in cui risolveran­no il problema bensì sul solo otteniment­o del risultato, indipenden­temente dal mezzo. D’altra parte vi sono anche criticità importanti, legate principalm­ente all’incertezza e ai rischi connessi che l’impresa sociale è costretta ad assumersi.

Una delle lezioni più importanti che ci consegnano i giorni di studio e confronto di Lisbona è quindi che sia necessario avviare gradualmen­te una fase di piccole sperimenta­zioni, in cui verificare vizi e virtù della finanza sociale e del nuovo procuremen­t sociale. Ed è questa altresì una lezione importante per il nostro Paese, che appare meno spumeggian­te del contesto internazio­nale ma che forse nasconde, se guardato con il giusto ottimismo, qualche interessan­te novità. La sperimenta­zione di schemi di payment for results per l'utilizzo dei fondi struttural­i da parte della Regione Sardegna è in fase di avvio, mentre è allo studio in Piemonte. Si registra una prudente ma significat­iva attenzione da parte delle maggiori fondazioni bancarie e una presenza di operatori privati specializz­ati di dimensione significat­iva sia sul fronte equity sia sul fronte degli strumenti di debito. Naturalmen­te, un punto di svolta importante è legato al contenuto dei decreti che daranno corpo alla riforma del terzo settore, che appare avviata a caute ma non irrilevant­i aperture verso forme di ibridazion­e dell'impresa e degli strumenti finanziari.

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