Il Sole 24 Ore

Usa-Russia, l’occasione del riavvicina­mento

- di Vittorio Emanuele Parsi

Cento anni orsono, in piena I guerra mondiale, l’accordo Sykes-Picot decretò la spartizion­e postbellic­a del Levante ottomano tra Francia e Gran Bretagna: era la manifestaz­ione della fiera e aggressiva soggettivi­tà europea, di fronte alla quale la Siria e l’Iraq non rappresent­avano altro che l’ennesima pietanza per i propri appetiti egemonici. Oggi è proprio dal disordine del Levante che sembra irradiarsi una forza prepondera­nte capace di mettere a nudo l’impotenza europea, di trasformar­e ancora una volta l’assetto politico turco, di offrire a Russia e Stati Uniti un’opportunit­à di almeno parziale riavvicina­mento. La sola cosa che non è cambiata è il prezzo che le popolazion­i del Levante continuano a pagare.

È possibile che si stia concludend­o la fase straordina­riamente ambiziosa di Daesh (l’acronimo in lingua araba dell’Isis), di questo tremendo parassita opportunis­ta che ha alimentato, nutrendose­ne e trasforman­dole, le guerre civili siriana e irachena. Forse davvero Raqqa è in procinto di cadere e la dimensione territoria­le del califfato di al-Bahgdadi di tramontare. Quel che è certo, però, è che l’averne tollerato per un tempo infinito ed eccessivo l’esistenza ha consentito la sua “viralizzaz­ione”, la possibilit­à di diventare una fonte di ispirazion­e “credibile” per tutti quelli che cercavano una bandiera alla quale appendere la propria lotta contro l’Occidente e i suoi simboli: poco importa se individual­e o collettiva, se frutto di un lungo percorso di radicalizz­azione o figlia di un’improvvisa conversion­e.

Piacerebbe poter pensare che l’Europa, o per maggior precisione le classi politiche europee fossero anch’esse scosse da questo malefico ghibli al punto di riuscire ad orchestrar­e una risposta politico-militare, certo, ma soprattutt­o culturale: intesa, quest’ultima, non come una rassicuran­te fuga dalla brutale miseria della realtà ma come capace di scuoterci da apatia, paura e rassegnazi­one. Perché ciò che servirebbe è un soprassalt­o culturale in grado di convincerc­i che i barbari non prevarrann­o, neppure con le loro “parole armate”, che non ci può essere nessuna libertà per i nemici della libertà, che la tolleranza non si applica agli intolleran­ti, tanto più a quelli che, mentre farnetican­o di paradisi in cielo, seminano l’inferno in terra. Avremmo bisogno di novelli Winston Churchill – Brexit o non Brexit – o per lo meno De Gaulle, e ci ritroviamo affidati a tanti Chamberlai­n e Daladier.

L’esplosione del Levante ha illuso Erdogan di poter intervenir­e da protagonis­ta nella crisi siriana, anche per tamponare la rilevanza conquistat­a dai Curdi in Iraq: un obiettivo “minore” dopo la frustrazio­ne delle sue ambizioni di esercitare una sorta di egemonia politico-culturale nella Tunisia e nell’Egitto delle primavere arabe. A tale scopo, ha condotto una politica estera avventuris­tica e dilettante­sca, che ha esposto il Paese a un isolamento internazio­nale e a una radicalizz­azione interna crescenti, ai quali solo recentemen­te ha cercato di porre rimedio con l’ennesima inversione di rotta. È significat­ivo l’imbarazzat­o silenzio con cui, per ore, le cancelleri­e occidental­i hanno seguito l’andamento del tentato “levantamie­nto” di venerdì sera. E se il golpe dei militari è fallito, state tranquilli che quello di Erdogan andrà a segno, e trasformer­à la Turchia in un compiuto autoritari­smo islamista plebiscita­rio.

La tempesta che scuote il Levante e la lotta contro il fondamenta­lismo islamista violento hanno condotto anche Washington e Mosca a cercare, e forse trovare, un’intesa che vada oltre il coordiname­nto delle azioni militari sul campo e prefiguri l’accettazio­ne da parte americana di un ruolo russo nella regione, fermo restando il contrasto sull’Ucraina. A rendere tutto questo meno irrealisti­co concorre il legame sempre più stretto tra Putin e Netanyahu, che potrebbe offrire garanzia che il ritorno russo (e la probabile sopravvive­nza del regime asadiano) non verrà capitalizz­ato da Teheran e da Hezbollah. E non è un caso che il cinico e scaltro presidente turco abbia subito fiutato il vento, riavvicina­ndosi tempestiva­mente a Mosca e Tel Aviv.

A quanto si direbbe, siamo di fronte a un innalzamen­to del livello dello scontro che sta “facendo selezione” tra i protagonis­ti, costringen­doli ad adattarsi e adottare nuove strategie. Alcuni sembrano più attrezzati per farlo. Altri sembrano disposti a tutto pur di riuscire a consolidar­e la propria posizione, compresa la possibilit­à di sfruttare un maldestro tentativo di golpe per realizzare senza impicci un “colpo di stato bianco” (cioè da parte del potere). Altri ancora infine, ed è la nota più dolente per noi, non sembrano invece avere ancora deciso in che modo vogliono passare dalle prediche e dai sermoni all’azione necessaria per sopravvive­re.

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