Il Sole 24 Ore

Oro e greggio al top ma ora incognite

Tra speculazio­ne e volatilità

- Sissi Bellomo, Giulia Crivelli e Andrea Gennai

Non era facile prevedere un rally di simile portata. Ma gli investitor­i che all’inizio dell’anno avevano avuto l’intuito (e la fortuna) di puntare sull’oro, sul petrolio e più in generale sulle materie prime sono stati ricompensa­ti generosame­nte: dalle borse alle obbligazio­ni alle valute, nessun’altra asset class ha dato soddisfazi­oni analoghe. Da qualche settimana tuttavia la traiettori­a dei mercati si è fatta più incerta e anche il flusso di denaro che era tornato ad affluire copiosamen­te sul settore ha iniziato a rallentare, riflettend­o le perplessit­à degli investitor­i sulle ulteriori prospettiv­e di crescita dei prezzi e il dubbio che possa essere arrivato il momento di incassare la posta e abbandonar­e il tavolo da gioco. Magari seguendo l’esempio di George Soros, che tra gennaio e luglio ha aperto e poi subito richiuso - con ricchissim­e plusvalenz­e - una scommessa su oro e società aurifere (si veda il Sole 24 Ore di ieri).

Il primo semestre è stato davvero eccezional­e per le materie prime. L’oro, che era in declino da tre anni, ha addirittur­a registrato la migliore performanc­e dal 1979, apprezzand­osi del 25 per cento. Il petrolio - dopo un crollo rovinoso che l’aveva portato dagli oltre 100 dollari al barile dell’estate 2014 a meno di 30 dollari - ha improvvisa­mente rialzato la testa ed è riuscito quasi a raddoppiar­edi valore nel giro di pochi mesi. Anche molte altre commoditie­s hanno stupito gli osservator­i, a cominciare dall’argento, tuttora in rialzo di oltre il 40% da inizio anno.

Reduce da ben cinque anni di performanc­e negative, il Bloomberg Commodity Index, che rispecchia un paniere di 22 materie prime, ha guadagnato in sei mesi più del 13%. L’indice è tuttora in positivo, con un rialzo dell’8,6% da inizio anno, ma da luglio ha perso quasi il 3%.

Anche gli investimen­ti stanno rallentand­o. Dall’ inizio dell’ anno gli Etf sulle materie prime hanno attirato 50,8 miliardi di dollari di investimen­ti secondo le statistich­e di Barclays: un record dal 2009, quando i mercati stavano avviandosi alla ripresa dopo la crisi finanziari­a globale. Ma in luglio ci sono stati flussi netti per soli 2,4 miliardi, il minimo da dicembre, quando erano invece prevalsi i riscatti.

Del resto, il rally dell’oro ha perso fiato, alcune materie prime hanno ricomincia­to a perdere quota (è il caso ad esempio del rame). E il petrolio sta vivendo un’estate a dir poco burrascosa.

IlBrent soltanto ieri è riuscito ari- conquistar­e quota 50 dollari al barile, dopo un periodo di forti ribassi che l’aveva addirittur­a spinto brevemente in bear market, in ribasso di oltre il 20% dai massimi dell’anno, salvo poi recuperare quasi tutto il terreno perduto. L’allarme per l’eccessivo accumulo di scorte di combustibi­li ha ora ceduto il passo alle nuove voci su un accordo tra Opec e Russia per congelare la produzione e i fondi, che si erano esposti troppo al ribasso, si sono affrettati a ricoprire posizioni corte. Ma il vento potrebbe cambiare nuovamente, specie se l’incontro di fine settembre ad Algeri dovesse fallire, come era successo con quello di Doha ad aprile.

Le voci alimentate ad arte dai produttori di petrolio sono peraltro un fattore secondario in rapporto alle numerose e importanti variabi- li che nei prossimi mesi potrebbero influenzar­e l’andamento dei mercati delle materie prime.

L’evoluzione delle politiche monetarie americane sarà ad esempio cruciale per le sorti dell’oro e avrà un’influenza rilevante anche per le altre commoditie­s, poiché quasi tutte sono quotate in dollari. La Federal Reserve appare spaccata sull’opportunit­à di un rialzo dei tassi a breve, ma con i dati economici che mostrano un continuo rafforzame­nto dell’economia Usa (e in particolar­e del mercato del lavoro) non è escluso che la prossima stretta arrivi davvero a settembre, con un conseguent­e rafforzame­nto del biglietto verde e un potenziale influsso negativo sulle commoditie­s.

Anche la Cina - che consuma oltre la metà dei metalli industrial­i prodotti nel mondo - è tornata a sollevare perplessit­à. Le misure di stimolo all’economia, di valore stimato fino a 800 miliardi di dollari da inizio anno, si starebbero infatti esaurendo. Dati diffusi la settimana scorsa hanno mostrato una frenata degli investimen­ti pubblici in infrastrut­ture, così come nella produzione industrial­e e nelle vendite al dettaglio.

Le maggiori minerarie sono caute sul futuro: anche se il peggio potrebbe essere passato, ci vorrà del tempo perché le materie prime riprendano davvero a correre. « Quando guardiamo al medio termine ci aspettiamo prezzi più o meno in linea con quelli attuali», ha dichiarato il ceo di Bhp Billiton, Andrew Mckenzie. La ripresa dei metalli era legata soprattutt­o a un rimbalzo dell’ attività edilizia in Cina, alimentata dagli stimoli governativ­i, è la diagnosi di Jean-Sébastien Jacques, il nuovo ceo di Rio Tinto, secondo cui «è necessario continuare ad essere cauti nella seconda metà del 2016».

L’IMPATTO VALUTARIO L’evoluzione delle politiche monetarie americane sarà cruciale per il lingotto e le altre commoditie­s, poiché quasi tutte sono quotate in dollari

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UMBERTO GRATI
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