Se il mercato si aggrappa a un ritocco del Qe
Ha il suo ben da fare la Bce nel convincere il mercato a non crearsi false illusioni su ulteriori misure espansive per l’incertezza post-Brexit. A giudicare infatti dalla reazione dei titoli di Stato dell’Eurozona ai verbali della riunione del board di luglio, qualche ritocco al quantitative easing gli investitori se lo aspettano già a settembre.
Per valutare in modo più accurato l’impatto dell’inatteso esito del referendum britannico, fra tre settimane Mario Draghi e gli altri banchieri avranno a disposizione anche le nuove proiezioni economiche dello staff interno di economisti. Intanto però gli investitori sembrano già avere le idee chiare e con l’eccezione del Portogallo (che ha i suoi bei problemi, vedi articolo a fianco) i rendimenti sovrani si sono ridotti di nuovo su tutti i fronti: il decennale tedesco è tornato a -0,08%, quello italiano all’1,08% e quello spagnolo allo 0,92%.
Segno evidente che qualcosa ci si attende forse anche fin da subito: che sia un semplice allungamento del programma oltre il marzo 2017 o la rimozione del limite del tasso sui depositi (al momento a -0,40%) come criterio di ammissibilità dei titoli o addirittura l’abbandono della distribuzione degli acquisti fra i vari Paesi in base alle quote di capitale detenute nell’Eurotower. La Bce fatica insomma a convincere i mercati, nonostante la sua comunicazione sia più lineare e coerente rispetto a quella a dir poco disorientante messa in mostra dalla Federal Reserve non soltanto negli ultimi giorni.
Togliere dalla testa degli operatori che i tassi resteranno comunque su livelli simili o addirittura inferiori per un periodo indefinitamente lungo è del resto molto difficile. E ad alimentare (se possibile) le attese ha forse contribuito pure l’opinione illustre di S&P Global: facendo ieri il punto della situazione sul fenomeno dei tassi negativi nel mondo, gli analisti dell’agenzia di rating hanno sì sottolineato gli inevitabili rischi dell’anomalia, ma hanno anche evidenziato come una simile politica non convenzionale stia avendo conseguenze in genere positive nell’Eurozona. In questo la Bce si differenzierebbe da altre banche centrali (soprattutto quella giapponese) che invece faticano a ottenere risultati dai tassi sotto zero, così come S&P si allontana dalle molte voci ipercritiche sulla questione.
Pur ammettendo la difficoltà di separare l’effettivo contributo dato da ciascuna delle singole misure che compongono il pacchetto Bce, il capoeconomista per l’Europa di S&P, Jean-Michel Six, riconosce che l’abbassamento a -0,40% della remunerazione sui depositi dell’Eurozona ha contribuito al deprezzamento dell’euro (a differenza da quanto ottenuto dalla BoJ sullo lo yen) e soprattutto a migliorare le condizioni di accesso al credito. Si sono insomma stimolate le banche dell’area a concedere prestiti ai clienti (che poi è l’obiettivo reale dell’Eurotower a differenza del cambio) anche attraverso le nuove operazioni di rifinanziamento Tltro II che possono appunto prevedere interessi sotto zero.
Certo, a fianco dei successi non mancano anche ombre e controindicazioni: non solo l’impatto sulla redditività delle banche, ma anche il fatto che i benefici non sono diffusi in modo uniforme in tutta l’Europa, soprattutto sul mercato interbancario. Dai saldi di Target 2 - nota infatti S&P - si intuisce che gli squilibri fra i Paesi del «centro» e quelli della «periferia» si sono addirittura di recente ampliati: chi pensava che imporre di fatto una tassa di 40 cent per ogni 100 euro depositati presso la Bce potesse
I TASSI «SOTTOZERO» Secondo S&P la politica dei tassi negativi nell’eurozona sta producendo effetti positivi per l’economia
indurre le banche tedesche o olandesi a prestare il denaro alle italiane, spagnole o portoghesi deve dunque ricredersi.
Nel complesso però l’introduzione dei tassi negativi, per quanto forzata, è stata secondo Six una scelta «generalmente positiva» almeno per l’economia dell’Eurozona. Quei 19mila miliardi di dollari di obbligazioni sovrane o societarie con tassi sotto zero (un quarto del debito complessivo a livello globale, una bella fetta del quale nel Vecchio Continente) sono state definite qualche giorno fa una «supernova pronta a esplodere» da un guru dei bond come Bill Gross di Janus Capital ha definito , ma sono forse anche un male necessario.