Focus estate: le regole per gestire le crisi di imprese e partite Iva
Accordi con i creditori anche per i «non fallibili»
Gli ultimi mesi hanno fatto registrare molti interventi sulle crisi di imprese e professionisti. In queste pagine ci concentriamo su alcuni interventi di particolare impatto.
Partiamo dal sovraindebitamento che è «una situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempiere regolar- mente». Questa è la definizione data dal legislatore con l’articolo 6, comma 2, lettera a) della legge 3/2012 (modificata dalla legge 221/2012 di conversione del Dl 179/2012) sulla composizione della crisi da sovraindebitamento, che ha rappresentato un importante traguardo per disciplinare i casi di insolvenza civile. Le ragioni che hanno spinto il legislatore ad introdurre nuove forme di “regolazione dei conti” potrebbero rinvenirsi nel tentativo di giungere alla ricomposizione delle proprie situazioni debitorie, ma anche nel voler colmare il vuoto normativo circa la prevenzione dell’indebitamento stesso.
Dalla lettura delle norme, emerge che lo «stato di indebitamento» è caratterizzato da un perdurante squilibrio finanziario, attuale o prospettico, tra le attività correnti immediatamente liquidabili e le passività correnti da soddisfare (che possono essere già scadute o prossime alla scadenza), il quale è causa o di una rilevante difficoltà ad adempiere regolarmente le proprie obbligazioni o di una irreversibile capacità ad adempierle. La legge descrive una situazione in cui le passività siano superiori rispetto a quelle attività, che in tempi brevi, possano essere tradotte in liquidità necessarie per il soddisfacimento dei creditori (si potrebbe, ad esempio, configurare lo stato di indebitamento anche in capo ad un soggetto che abbia un patrimonio superiore rispetto al complesso debitorio, ma non immediatamente monetizzabile).
La legge è stata dettata per consentire ai soggetti non fallibili, cioè coloro che non possono accedere per mancanza di requisiti soggettivi, oggettivi, o per espressa disposizione di legge, alle procedure concorsuali previste dalla legge fallimentare, che sono in «stato di sovraindebitamento», di concludere un accordo con i propri creditori al fine di rimettere i debiti e reinserirsi nnel cerchio attivo dell’economia.
Più specificatamente, i soggetti cui è indirizzata la disciplina sono:
imprenditori agricoli (articolo 7 , comma 2 bis, legge 3/2012);
start up innovative (articolo 31 del Dl 179/2012 – fino a quando mantenga i suoi requisiti e non oltre il quarto anno dalla sua costituzione);
l’imprenditore commerciale “sotto soglia” (articolo 1, comma 2, legge fallimentare) cioè colui che non supera un attivo di 300.000 euro, un ricavo lordo di 200.000 euro e un totale di debiti superiore a 500.000 euro negli ultimi 3 esercizi antecedenti al deposito del fallimento;
l’imprenditore commerciale “sopra soglia”, ma con un totale di debiti scaduti e non pagati non superiore a 30.000 euro (articolo 15, comma 9, legge fallimentare);
l’imprenditore commerciale cessato da oltre un anno, che abbia provveduto alla cancellazione dal Registro delle imprese (articolo 10 legge fallimentare);
l’erede dell’imprenditore defunto, dopo un anno dalla morte (articolo 11 legge fallimentare);
il socio illimitatamente responsabile, dopo un anno dalla perdita dello status di socio (articolo 147, comma 2, legge fallimentare);
i liberi professionisti, artisti, lavoratori autonomi e società professionali, in quanto svolgono attività strettamente professionali; associazioni professionali e società semplici;
il consumatore, cioè la «persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta» (articolo 6, comma 2, lettera b) legge 3/2012 (Cassazione civile, sentenza 1869/2016).
Sembra esserci una differenza tra i “debitori”, un’ampia categoria di soggetti titolari di obbligazioni civili e commerciali inadempiute e i “consumatori”, cioè persone fisiche indebitate che si propongono di ristrutturare i soli debiti di consumo; ciò si ripercuote sull’accesso ai diversi meccanismi di ristrutturazione.
Tre, infatti, sono le procedure di composizione della crisi: l’accordo del debitore, il piano del consumatore e, in alternativa, la liquidazione del patrimonio.
Tramite l’accordo, il debitore, con l’aiuto di un organismo di composizione della crisi, previsto obbligatoriamente dalla legge, formula ai creditori una proposta con la quale intenda ristrutturare i debiti e soddisfare i crediti sulla base di un piano, che preveda scadenze e modalità di pagamento. Tale proposta deve essere approvata dai creditori che rappresentano il 60% dei crediti.
Tramite il piano, il consumatore crea un progetto, che sarà sottoposto alla sola approvazione discrezionale del giudice, il quale scrutina la fattibilità e la convenienza dello stesso, l’assenza di atti in frode ai creditori e la meritevolezza del consumatore.
Infine è possibile azionare, su istanza del debitore, la liquidazione del patrimonio, con la quale si accerti il passivo e si liquidi l’attivo.
Il consumatore può, per espressa previsione di legge, accedere a tutti e tre gli istituti (ed eventualmente anche all’esdebitazione), mentre il debitore, secondo la relazione illustrativa al Dl 179/2012, in presenza di debiti compositi (cioè passività derivanti sia da debiti per attività d’impresa/professionale, sia da debiti diversi da questi) potrà azione come unica procedura l’accordo da sovraindebitamento mentre sarà precluso il piano del consumatore.