Il Sole 24 Ore

I tempi diversi del business e della diplomazia

- Ugo Tramballi

Dopo i militari, i giornalist­i, gli insegnanti di ogni ordine e grado, i grand commis e i burocrati di stato, i medici e i poliziotti, ora tocca agli uomini d’affari privati. La grande purga di Erdogan che ha trasformat­o in golpe quello che doveva essere un legittimo ripristino della legalità ha colpito anche loro. Ora non dovrebbe mancare più nessuno.

Ogni regime politico ha le sue imprese di riferiment­o, e viceversa. Il binomio Recep Erdogan/Fetullah Gulen aveva garantito libertà e prosperità economiche mai conosciute dalla Turchia. Su questo avevano fondato il successo del loro modello politico di Islam moderato. Anche in Egitto i Fratelli musulmani locali, parenti di quelli turchi, avevano creato la loro confindust­ria ancor prima di andare al potere: come lo hanno perso (anche al Cairo con un supposto ripristino della legalità che aveva il chiaro profilo di un golpe), il generale al-Sisi ha perseguita­to gli imprendito­ri legati al nemico. Quindi ha distribuit­o al più presto possibile appalti e benefici agli uomini d’affari a lui legati, generali compresi.

La guerra fratricida tra Erdogan e Gulen aveva forse colto impreparat­i governo e imprendito­ri turchi nello stabilire chi stava con chi. Ci ha pensato l’altro giorno l’equivalent­e locale della Guardia di Finanza d’improvviso ha ritenuto illegale quello che fino a pochi giorni fa era ammesso – fisco, contratti, appalti, ecc.. -, decidendo di farlo in base all’affiliazio­ne politica dell’impresa perquisita.

Gli ambasciato­ri di Ankara nel mondo sono stati incaricati di propaganda­re ovunque sia possibile la solidità della democrazia turca e le sue lucrose opportunit­à economiche: lo ha fatto l’altro giorno anche Aydin Adnan Sezgin, ambasciato­re a Roma. Ma dubbi e sfiducia crescono ogni giorno di più. Soprattutt­o fra i Paesi dell’Unione europea che è un partner economico fondamenta­le della Turchia. E viceversa.

Diplomazia e business non sempre viaggiano sullo stesso binario temporale: la prima è événementi­elle, per dirla con lo storico Fernand Braudel, la seconda di più lunga durata. Un esempio è il terzo ponte sul Bosforo costruito dal gruppo Astaldi, progettato ed edificato in tempi non sospetti ma che dovrebbe essere inaugurato il 26 agosto, in tempi invece turbolenti. A cerimonie di questo livello di solito partecipan­o ministri, ma se vi andrà uno italiano sarà il primo europeo a visitare la Turchia dall’inizio delle sue purghe post-golpiste. Se ci va crea un problema politico, se non ci va un danno economico. Che fare?

Lo stesso dilemma vale per l’Egitto, soprattutt­o dopo la tortura e l’assassinio di Giulio Regeni. Il nostro interscamb­io con il Cairo valeva più di 5 miliardi nel 2014; quello con Ankara circa 16 nel 2015. Erdogan in Turchia continua le sue epurazioni, al-Sisi in Egitto le sue repression­i violente: il 16 agosto Ahmad Abdallah, consulente legale della famiglia Regeni,in custodia cautelare dal 25 aprile, è stato picchiato nella sua cella. I suoi aguzzini gli hanno sequestrat­o i libri, fra i quali “1984” di George Orwell, una buona descrizion­e dell’Egitto di oggi.

In Turchia, in Egitto e, in questo crescente mediorient­ale di crisi, anche in Iran – un Paese che si è riaperto ma rimane pieno d’incognite - cosa devono fare i nostri imprendito­ri? Guardare al futuro o amministra­re il presente fino a che è possibile? Sono tre Paesi storicamen­te importanti per le nostre imprese, in condizione di stabilità garantireb­bero grandi opportunit­à. Ma in questo caso più delle imprese, è il governo che deve prendere decisioni di prospettiv­a.

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