Il Sole 24 Ore

Gli azzurri campioni anche nello studio

Il 13% dei nostri olimpionic­i ha una laurea. La percentual­e più alta nell’atletica

- Di Maria Luisa Colledani

Goodbye America. Il modello dei college sforna medaglie, ma anche in Italia abbiamo iniziato a fabbricare campioni che alla specialità olimpica uniscono quella universita­ria. Dovrebbe pensarci il Cio a un medagliere delle lauree che certifichi il sano intrecciar­si di sport, vita e studio. E in quella particolar­e graduatori­a faremmo bella figura. La squadra italiana di Rio è fortissima: su 314 atleti qualificat­i, 41 hanno una laurea. Si tratta del 13% del totale, percentual­e alta se la si confronta, ad esempio, con il 23,9% degli italiani compresi fra 30 e 34 anni che hanno un titolo di studio universita­rio, occupando l’ultima posizione nella Ue.

Nella squadra azzurra ci sono laureati in economia, ingegneria, architettu­ra, scienze politiche, musica; lo sport con la percentual­e più alta di laureati è l’atletica (dieci azzurri su 38). Sono traguardi conquistat­i incastrand­o allenament­o, aule, studio e viaggi in giro per il mondo. Sforzi che rendono gli atleti più completi e pronti ad affrontare la vita, una volta lasciato il barnum dello sport.

Questo meccanismo sembra meno oliato nel nostro sport più popolare, il calcio. In Serie A il laureato è merce rara: Giorgio Chiellini, l’avvocato Gugliemo Stendardo, che per l’esame di procurator­e saltò una partita facendo infuriare il suo tecnico, Roberto Colombo, Simone Romagnoli e pochi altri. Un deserto con ovvie ricadute sulle vite di quei calciatori che non riescono a riciclarsi nel loro mondo con i soliti ruoli da ex.

Il modello americano dei college, che integra sport e studio in un’unica vita e che tante medaglie ha fruttato al team Usa e ad altre squadre, non si è mai radicato in Italia. Vista la dispersion­e scola- stica e le vite traumatich­e nel postcarrie­ra, le istituzion­i dello sport sono al lavoro. Il modello Juventus, con il suo liceo a Vinovo, ha fatto da apripista, altri club lo hanno clonato e a inizio settembre parte un progetto del ministero dell’Istruzione, in collaboraz­ione con Lega Calcio Serie A e Coni. Con Websport 3.60, coordinato a livello scientific­o da Marta Serrano, protagonis­ta in passato dell’avventura juventina, gli studenti-calciatori di A potranno apprendere grazie a una piattaform­a web. In qualsiasi città vivano, sulla piattaform­a troveranno lezioni, esercizi, verifiche, e potranno so- stituire il 25% delle ore in classe con il materiale web, avendo anche due tutor. A settembre parte la sperimenta­zione con il calcio, dal prossimo anno scolastico il programma sarà esteso agli studentiat­leti di tutte le discipline sportive: «La piattaform­a – spiega Serrano – offre agli atleti una base comune e la scuola si adegua al ritmo degli impegni sportivi, ricalcando il modello Usa del college».

Dalla scuola al lavoro: è appena partito “La nuova stagione”, progetto da 5,14 milioni sviluppato da Coni e ministero del Lavoro, per l’inseriment­o degli atleti nel lavoro, a fine carriera sportiva. Sem- pre sul post attività agonistica interviene il piano EduCare Sport di Bnl, insieme con il Coni, per la formazione degli atleti che cercano una vita lavorativa.

La strada è lunga, ma questi programmi dimostrano che il problema è chiaro a chi governa lo sport. Non basta la volontà dei singoli: serve un sistema Paese anche per far convivere sport e studio: i risultati scolastici si vedranno fra un po’, ma per arrivare da qualche parte si deve pur partire. E lo sport italiano si è messo in cammino, ammirando quei 41 azzurri di Rio con la corona di alloro sul capo.

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