Il Sole 24 Ore

Elia Viviani e la capacità di rialzarsi

- Di Luigi Sampietro

Ritorno sulla pista dopo essermi tolto le scarpe per non danneggiar­e il parquet e mi sorprendo a correr dietro a Elia Viviani, veronese di Isola della Scala, come un pazzariell­o con tanto di bandiera tricolore. Quando mi sveglio di soprassalt­o, mi accorgo che è passato un giorno dalla medaglia d’oro e che il cavalier Silvio Martinello, a sua volta olimpionic­o di ciclismo e ora ottimo commentato­re televisivo, lo sta intervista­ndo.

Viviani ha vinto la medaglia d’oro nell’omnium, che è la più difficile e complessa specialità del ciclismo su pista. Ha vinto dopo quattro anni di sacrifici e la sua non è la semplice e ovvia vittoria del più forte, ma un trionfo che è frutto di determinaz­ione, coraggio, bravura e astuzia messe insieme. Ha vinto in una specialità che comprende sei prove da svolgere in due giorni consecutiv­i e, non fosse lo sforzo andato a buon fine – come era già successo nei Giochi del 2012 – Viviani non sarebbe finito sulle prime pagine con foto e titoli di scatola. Ovvio – si dirà –, e per mille ragioni. Devo però ricordare che la sua è la storia di un ragazzone che ha bene meritato della propria gente, e non di un invincibil­e semidio: e non è neppure una di quelle storie che sfiorano la dimensione del tragico e che mettono soggezione.

È soltanto la storia di uno di noi. Una storia fatta di successi e di sconfitte, in cui è potuta risplender­e, come un esempio, quella rara virtù che è il simbolo della nostra civiltà: la capacità di rialzarsi, di insistere, e dunque – in senso lato – di risorgere dopo un fallimento. E Viviani, che, a Londra, già aveva perso un’Olimpiade per impazienza ed errore di calcolo, quando l’altro giorno, a Rio, è caduto – incidente o atto piratesco di un avversario, non ho ben capito – è risalito sulla bicicletta senza farsi prendere dall’ansia di chi vuole vendicarsi subito della malasorte buttandosi in maniera scriteriat­a nella mischia. Ha invece ripreso a contare i punti e i giri che mancavano, piazzando, al momento giusto, la propria ruota davanti alle altre.

Ora, con il velodromo di Milano rimesso a nuovo, conto di andare ad applaudirl­o di persona, alla prima occasione. Seduto in piccionaia come ai vecchi tempi, quando il Vigorelli (ora MaspesVigo­relli) era “la pista magica”.

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