Elia Viviani e la capacità di rialzarsi
Ritorno sulla pista dopo essermi tolto le scarpe per non danneggiare il parquet e mi sorprendo a correr dietro a Elia Viviani, veronese di Isola della Scala, come un pazzariello con tanto di bandiera tricolore. Quando mi sveglio di soprassalto, mi accorgo che è passato un giorno dalla medaglia d’oro e che il cavalier Silvio Martinello, a sua volta olimpionico di ciclismo e ora ottimo commentatore televisivo, lo sta intervistando.
Viviani ha vinto la medaglia d’oro nell’omnium, che è la più difficile e complessa specialità del ciclismo su pista. Ha vinto dopo quattro anni di sacrifici e la sua non è la semplice e ovvia vittoria del più forte, ma un trionfo che è frutto di determinazione, coraggio, bravura e astuzia messe insieme. Ha vinto in una specialità che comprende sei prove da svolgere in due giorni consecutivi e, non fosse lo sforzo andato a buon fine – come era già successo nei Giochi del 2012 – Viviani non sarebbe finito sulle prime pagine con foto e titoli di scatola. Ovvio – si dirà –, e per mille ragioni. Devo però ricordare che la sua è la storia di un ragazzone che ha bene meritato della propria gente, e non di un invincibile semidio: e non è neppure una di quelle storie che sfiorano la dimensione del tragico e che mettono soggezione.
È soltanto la storia di uno di noi. Una storia fatta di successi e di sconfitte, in cui è potuta risplendere, come un esempio, quella rara virtù che è il simbolo della nostra civiltà: la capacità di rialzarsi, di insistere, e dunque – in senso lato – di risorgere dopo un fallimento. E Viviani, che, a Londra, già aveva perso un’Olimpiade per impazienza ed errore di calcolo, quando l’altro giorno, a Rio, è caduto – incidente o atto piratesco di un avversario, non ho ben capito – è risalito sulla bicicletta senza farsi prendere dall’ansia di chi vuole vendicarsi subito della malasorte buttandosi in maniera scriteriata nella mischia. Ha invece ripreso a contare i punti e i giri che mancavano, piazzando, al momento giusto, la propria ruota davanti alle altre.
Ora, con il velodromo di Milano rimesso a nuovo, conto di andare ad applaudirlo di persona, alla prima occasione. Seduto in piccionaia come ai vecchi tempi, quando il Vigorelli (ora MaspesVigorelli) era “la pista magica”.