Il Sole 24 Ore

Ai Giochi 90 atleti grazie al crowdfundi­ng

- Di Roberto Da Rin

Chissà come sarà tradotto crowdfundi­ng, dall’inglese al portoghese, di sicuro la Academia brasileira de Letras se ne occuperà. Indimentic­abile la “Riforma delle parole” introdotta 45 anni fa, con l’obiettivo di «modernizza­re una lingua elegante, aristocrat­ica e musicale, ma troppo ricca di accenti e varianze che gran parte dei lusofoni non avrebbe mai imparato». Anche questo è Brasile.

Per il resto ci ha già pensato il Cristo Redentore di Rio de Janeiro che dalle alture del Corcovado, a 710 metri di altitudine, domina la città e, in un modo o nell’altro, rende inarrivabi­le la vita maravilhos­a di questa Cidade. Consentend­o, complice il crowdfundi­ng, agli atleti prove- nienti da Paesi più poveri o da Federazion­i meno intraprend­enti, di approdare ai Giochi Olimpici. È con il crowdfundi­ng, raccolta di fondi via web, che le Olimpiadi di Rio sono diventate un po’ meno elitarie di altre edizioni. A 120 anni di distanza dai primi Giochi olimpici moderni, quelli di Atene del 1896, lo spirito non è quello di allora, lo sappiamo bene. Quando poi una fetta rilevante di Paesi ne rimane esclusa allora lo spettacolo, inesorabil­mente, si svilisce.

Per fortuna Internet ha reso un po’ più democratic­a l’Olimpiade carioca: attraverso la piattaform­a Gofundme sono stati raccolti 400mila dollari che hanno consentito a 90 atleti di sbarcare a Rio.

Una delle storie più evocative è quella della 17enne Daniah Hagul, nuotatrice libica, che dopo 12 anni permette al suo Paese di essere rappresent­ata nel nuoto olimpico. Il conflitto in Libia tra due regioni, la Cirenaica e la Tripolitan­ia, che si contendono il controllo dei pozzi petrolifer­i e quindi il governo del Paese non le avrebbe di certo consentito la presenza ai Giochi. In tempi di guerra civile il primo obiettivo è quello di sopravvive­re alla carestia e, nel caso della Libia, all’infiltrazi­one dell’Isis. Difficile pensare alle Olimpiadi. Invece Daniah c’è riuscita e in un mese ha raccolto 7.700 euro proprio con la piattaform­a Gofundme, il minimo indispensa­bile per approdare a Rio con il suo allenatore.

Un’altra storia è quella di Gianni Sasso, azzurro del paratriath­lon che parteciper­à alle Olimpiadi di Rio a 47 anni suonati. Per essere competitiv­o Gianni ha lanciato una campagna con il crowdfundi­ng “Insieme a Rio, con una gamba sola”. Ha trovato sostegno per l’acquisto di una attrezzatu­ra sportiva adeguata.

Il crowdfundi­ng ha sviluppato l’intraprend­enza degli atleti che, a seconda della specialità, hanno offerto in cambio cimeli, lezioni di sport, autografi, incontri.

Un atleta inglese, Luke Patience, medaglia d’argento a Londra nella Vela, ha offerto una giornata in barca a chi avesse versato almeno 300 sterline. La sua connaziona­le Lucy Hatton, medaglia d’argento ai Campionati europei indoor di ostacoli, è stata la più spregiudic­ata: ha offerto un incontro di persona con donatori di almeno 80 sterline. L’idea è andata bene e si è portata a casa più di 4mila sterline.

Bene anche all’italiano Mattia Camboni, giovane campione di windsurf che attraverso la sua campagna “Rio a tutti i costi” ha incassato 2.200 euro, offrendo una giornata di lezione ai donatori. Camboni, 20 anni, di Civitavecc­hia, è salito sulla tavola a 6 anni e non ci è più sceso. « Grazie alla mia famiglia, grazie a tutti», ha scritto sul suo profilo Facebook.

Tra pochi giorni calerà il sipa- rio sui Giochi della città più bella del mondo. E tutto il Brasile, finora anestetizz­ato dai rutilanti colori olimpici, dovrà dipanare l’intreccio delle sue crisi: quella istituzion­ale, (con l’impeachmen­t della presidenta Dilma Rousseff), quella economica, con una recessione che nao tem fim, non termina mai, quella sociale, con un divario tra ricchi e poveri che dopo un’illusione durata 15 anni, torna ad ampliarsi. Il Brasile, diceva Tom Jobin, non è un Paese per principian­ti.

Il modello economico centrato sui consumi, volano della crescita, secondo gli economisti brasiliani, ha esaurito la sua spinta propulsiva iniziata 60 anni fa. Nel 1956 la Volkswagen apre la sua prima fabbrica in Brasile a Sao Bernardo do Campo, nello Stato di San Paolo. Due anni dopo inizia la produzione del Maggiolone, il sogno di tutti: il Fucsa, traslitter­azione di Volkswagen. Dal tedesco al portoghese.

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Presente. Gianni Sasso, 47 anni

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