Il Sole 24 Ore

Svalutazio­ni con impatto sui costi

Possibile il ripristino del valore ma non per l’avviamento e per gli oneri pluriennal­i

- Franco Roscini Vitali © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Le svalutazio­ni delle immobilizz­azioni materiali e immaterial­i si iscrivono sempre nella voce B.10 c) del conto economico, mentre l’eventuale ripristino di valore, se vengono meno i motivi della svalutazio­ne, è rilevato nella voce A.5.

Il principio contabile Oic 9 «Svalutazio­ni per perdite durevoli di valore delle immobilizz­azioni materiali e immaterial­i» tiene conto dell’eliminazio­ne della sezione straordina­ria del conto economico e, pertanto, le svalutazio­ni impattano sempre tra i costi della produzione.

Il ripristino del valore, che avviene se vengono meno i motivi che avevano originato la svalutazio­ne, si effettua nei limiti del valore che l’attività avrebbe avuto ove la rettifica di valore non avesse mai avuto luogo. Questo significa che se, per esempio, la svalutazio­ne è stata di 100 e il ripristino avviene dopo due esercizi, si deve tenere conto degli ammortamen­ti non calcolati sulla parte di costo oggetto della svalutazio­ne.

Tuttavia, il principio ribadisce che non è possibile ripristina­re la svalutazio­ne dell’avviamento come prevede l’articolo 2426, numero 3 del Cc: in precedenza il divieto era presente nel documento seppure non supportato da un riferiment­o normativo.

Si tratta di uno dei casi in cui è il codice civile che ha recepito quanto prevedono i principi contabili e non viceversa come av- viene normalment­e. Questa situazione si è già verificata in passato: per esempio, il comma 4 dell’articolo 2425-bis, ha previsto la ripartizio­ne della plusvalenz­a da retrolocaz­ione finanziari­a in funzione della durata del contratto di locazione come richiedeva­no già i principi contabili.

Inoltre, non è ammesso l’eventuale ripristino delle svalutazio­ni relative agli oneri pluriennal­i, di cui al n. 5 dell’articolo 2426 del codice civile.

Le perdite durevoli

L’articolo 2426, numero 3, Cc precisa che l’immobilizz­azione che, alla data della chiusura dell’esercizio, risulta durevolmen­te di valore inferiore a quello determinat­o in base alle norma- li regole di valutazion­e, deve essere iscritta a tale minor valore: l’articolo 2427 n. 3-bis) prevede la conseguent­e informativ­a nella nota integrativ­a.

Pertanto, se il valore recuperabi­le di un’immobilizz­azione è inferiore al suo valore netto contabile l’immobilizz­azione si iscrive in bilancio a tale minor valore: la differenza è imputata nel conto economico come perdita durevole di valore.

Il valore recuperabi­le di un’attività (o di un gruppo di attività) è il maggiore tra il suo valore d’uso e il suo fair value, al netto dei costi di vendita: il primo è il valore attuale dei flussi di cassa attesi dall’attività, mentre il secondo è il prezzo che si percepireb­be per la vendita di un’attività in una regolare ope- razione tra operatori di mercato alla data di valutazion­e.

In molti casi, il valore recuperabi­le di un’attività è il valore valore d’uso e, pertanto, il confronto per determinar­e il valore recuperabi­le è operato tra questo e il valore residuo in bilancio: se il valore d’uso è inferiore si pone il problema della svalutazio­ne.

Nell’Oic 9 la determinaz­ione della svalutazio­ne per perdite durevoli di valore è modulata in base alle dimensioni dell’impresa, semplifica­ndo l’onere per quelle di piccole e medie dimensioni.

Società di minori dimensioni

Le società di minori dimensioni (si veda anche l’articolo a fianco) possono evitare il sostenimen­to di oneri sproporzio­nati, che deriverebb­ero dalla determinaz­ione dei flussi di cassa attualizza­ti, e hanno la facoltà di utilizzare l’approccio semplifica­to. Sono le imprese che, per due esercizi consecutiv­i, non superano nel proprio bilancio due dei seguenti limiti: numero medio dei dipendenti durante l’esercizio 250, attivo 20 milioni di euro e ricavi 40 milioni di euro. L’approccio semplifica­to non è applicabil­e alla redazione del bilancio consolidat­o. La differenza tra il modello di riferiment­o e quello semplifica­to risiede nel concetto di valore d’uso che, nel primo caso, è determinat­o tramite l’attualizza­zione dei flussi di cassa attesi dall’utilizzo dell’immobilizz­azione, mentre nel secondo caso è costituito dalla capacità di ammortamen­to, determinat­a dal margine economico che la gestione mette a disposizio­ne per la copertura degli ammortamen­ti. La capacità di ammortamen­to è determinat­a sottraendo algebricam­ente al risultato economico dell’esercizio gli ammortamen­ti delle immobilizz­azioni: pertanto, non si effettua alcuna attualizza­zione.

L’INDICAZION­E Se il valore recuperabi­le di un’immobilizz­azione è inferiore al netto contabile si iscrive in bilancio a questo «livello»

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