Nuda proprietà, cessione censurata
È bancarotta per distrazione la cessione della nuda proprietà di beni immobili in favore dei figli, tra l’altro senza alcuna prova di un debito contratto con loro dal genitore. Questo quanto sancito con la sentenza n. 34991, depositata ieri, dalla Corte di cassazione.
Due gli imputati della vicenda, entrambi condannati in primo e secondo grado per bancarotta semplice documentale; uno dei due anche per bancarotta fraudolenta per distrazione. Tr a l e m o t i v a z i o n i d e l l a condanna, l’aver appunto distratto una nuda proprietà della quota di beni immobili della società, a estinzione di parte di un debito che l’imputata asseriva di aveva contratto nei confronti dei figli, in comune con l’altro imputato, e verso un amico e socio, in tal modo alterando la par condicio creditorum.
Nel merito, il Tribunale di Trento aveva, a tal proposito, accertato che l’operazione di cessione dei diritti reali sugli immobili concretizzava in realtà una sorta di spartizione delle spoglie della società, posta in essere per organizzare la sottrazione dei beni della società (che evidentemente già allora versava in grave situazione di dissesto) alla garanzia dei creditori.
I giudici di merito perveni- vano a tali conclusioni perché i debiti nei confronti del socio traevano origine da arbitrari prelievi di somme delle casse di altre società diverse da quella oggetto di bancarotta - fatto ammesso dall’imputato e peraltro per necessità di carattere del tutto personale -, mentre i debiti nei confronti dei figli erano fondati solo su scritture private che non garantiscono alcuna certezza di autenticità, né rispetto al contenuto né sul- l’epoca della formazione.
La Corte di cassazione ha poi ribadito che, nonostante la decisione isolata presa con sentenza 47502/2012, la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è reato di pericolo a dolo generico, per la cui sussistenza, pertanto, non è necessario che l’agente abbia consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa né che abbia agito allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, (sentenze 3229/2013 e 232/2013).