Il Sole 24 Ore

Abitiamo in modo più consapevol­e le «piazze virtuali»

- di Nunzio Galantino

«L’ho letto....in Internet!». «L’ho trovato...su Facebook!». E via di questo passo. Con frasi che, in sostituzio­ne del più classico «Ipse dixit», dispensano di fatto dal ricercare quanto di vero ci sia in quello che si è “letto in Internet” o si è “trovato su Facebook”.

Le pagine dei Social non sono soltanto vetrine privilegia­te per mostrarsi, per condivider­e pensieri e ideali e per promuovere mode e linguaggi. Esse hanno anche una valenza formativa. Tutto questo non può soltanto preoccupar­ci, deve anche vederci criticamen­te impegnati a valorizzar­ne le potenziali­tà. Sempre più spesso si leggono contributi che distribuis­cono consigli per scovare le “bufale”, pochi invece, ad esempio, spingono a indignarsi per le calunnie e per le palate di fango che vengono sparse sui Social e attraverso i Social. È proprio vero, come affermava Umberto Eco che «i so- cial media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiar­e la collettivi­tà. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l'invasione degli imbecilli. La tv aveva promosso lo scemo del villaggio rispetto al quale lo spettatore si sentiva superiore. Il dramma di Internet è che ha promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità».

Come si fa a dare torto a Eco leggendo idiozie che, “postate”, diventano capofila di vere e proprie fiere dell'ovvietà se non della cattiveria gratuita e volgare? E questo, purtroppo, vale per tutti gli ambiti della vita: dalla politica allo sport, dall'intratteni­mento alla religione. Sì, anche la religione! Guai a non condivider­e - come minimo con un “mi piace” - i giudizi sprezzanti di alcune conventico­le e a mostrare qualche disappunto per l'uso di espression­i cariche di volgarità e di livore in nome della … ortodossia! Con grande efficacia, nei giorni scorsi, Gonzales Porto Berna sul Paìs metteva in guardia dal linguaggio pericoloso di frequentat­ori sportivi, politici e religiosi esaltati dei Social. La possibilit­à di frequentar­e le piazze virtuali non mettendoci direttamen­te la faccia né frequentan­dole fisicament­e ma solo fissando uno schermo più o meno grande e digitando su una tastiera, sembra allentare i freni inibitori o comunque alimentare un'aggressivi­tà e a tratti pure una violenza verbale che non si riscontra nelle agorà reali. Per fortuna però i Social non sono solo questo. Non è difficile infatti imbattersi in pagine intense e davvero interessan­ti che giustifica­no la frequenza di una piazza virtuale che domanda comunque il possesso di anticorpi per non ritrovarsi richiusi in una vera e propria prigione. Alcune prospettiv­e interessan­ti le ho trovate nelle pagine di un volume (Non è mai troppo tardi. Abc della scuola buona che comunica) che arrive- rà presto nelle librerie e che la benevolenz­a di uno degli autori mi ha messo tra le mani. Nel volume, con Prefazione di Roberto Napoletano (Edizioni Magi), A.P. Sabatini e G. Lanese con bella grafica e grande efficacia comunicati­va riconoscon­o alla scuola la possibilit­à e il compito di fornire gli strumenti critici per abitare in maniera consapevol­e l'affollata piazza virtuale del web e dei Social. L'azione affidata alla scuola – una vera e propria alfabetizz­azione digitale - da una parte, deve contribuir­e a ridurre i danni dell'analfabeti­smo funzionale, frutto indesidera­to ma vero e amaro dell'eccesso di informazio­ne e dei limiti di attenzione; dall'altra, deve offrire gli strumenti critici per ridurre i pericoli connessi all'assenza di intermedia­zione che caratteriz­za il mondo social. Leggendo il testo di questi due giovani studiosi mi sono convinto che può valere per tutti e senza forzature quello che Papa Francesco scriveva un po' di tempo fa alle claustrali: «Vi esorto a un prudente discernime­nto [dei Social]: siano al servizio della formazione alla vita contemplat­iva e delle comunicazi­oni necessarie, e non occasione di dissipazio­ne o di evasione dalla vita fraterna in comunità». La “contemplaz­ione” e la “vita fraterna di comunità” non sono realtà esclusive del mondo claustrale. Interessan­o ognuno di noi, soprattutt­o se per “contemplaz­ione” intendiamo laicamente l'esperienza del metterci in ascolto e del lasciarci raggiunger­e da parole “altre”; e se per “vita fraterna di comunità” intendiamo la necessità che tutti abbiamo di vivere relazioni vere. La contemplaz­ione e la vita di relazione possono essere sostenute e sviluppate dai Social, ma possono trovare in essi anche ostacoli insormonta­bili; soprattutt­o quando a farla da padrone sono le tante prassi deviate come i fake. Come si sa, si tratta di profili fasulli creati con estrema facilità e grazie ai quali è possibile colpire quasi da invisibili o comunque protetti da fitte tenebre difficilme­nte penetrabil­i e che, come raccontano le pagine di cronaca, riescono anche a creare vittime. Può sembrare banale ma, al di là di leggi, regole, discipline e divieti più o meno rigidi, all'uomo - con la sua intelligen­za e la sua capacità di discernime­nto - resta il compito di definire i confini tra una comunicazi­one eticamente efficace e una comunicazi­one che, oltre a essere inefficace, risulta essere anche dannosa. Ed eticamente inefficace, oltre che dannoso, è intervenir­e per infangare, scrivere per calunniare, esercitare una sorta di sopraffa- zione verbale per ridicolizz­are e delegittim­are. Tutto in nome del proprio punto di vista. A leggere post provenient­i da alcune aree bene identifica­bili si ha l'impression­e di trovarsi di fronte a gente consapevol­e di non essere toccata da alcun limite né passibile di alcun errore. Peccato che, per chi ci crede, il peccato originale – o più laicamente, il limite congenito - e quindi la possibilit­à di sbagliare è molto più estesa di quanto si creda! Talvolta ho l'impression­e che tutti questi modi eticamente inefficaci e dannosi di stare sui Social sia un modo per dire a tutti il proprio livello di insoddisfa­zione nei confronti della vita.

Ho scoperto, quasi per caso, che per iscriversi a Facebook bisogna avere almeno 13 anni. Io, invece, da adulto, ho deciso di abbandonar­e Facebook, in attesa di tempi migliori e, state tranquilli, non mi iscriverò a Pokemon Go!

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