Il Sole 24 Ore

Legge elettorale, si riapre la partita sulle correzioni

A settembre la mozione di Si in Parlamento - Il 4 ottobre l’esame alla Consulta: Palazzo Chigi si costituisc­e in giudizio Il ministro Orlando contro il doppio turno, la minoranza Pd torna all’attacco dell’Italicum

- M.Per.

Torna in primo piano la partita della legge elettorale dopo le parole del ministro Orlando che propone uno stop al doppio turno e la minoranza dem che va all’attacco dell’Italicum. A settembre alla Camera si voterà la mozione di Si e il 4 ottobre è atteso l’esame della Consulta.

A 23 giorni dalla riapertura della Camera e a tre mesi dalla data del referendum sulle riforme costituzio­nali, torna in primo piano la partita della legge elettorale. A dispetto di chi nel Pd, dal premier Matteo Renzi al vicesegret­ario Lorenzo Guerini, insiste nel ritenere sbagliato legare l’Italicum alla legge che segna l’addio al Senato elettivo e al bicamerali­smo paritario, i due piani sono destinati inevitabil­mente a incrociars­i. Se non altro per una questione di tempi.

A settembre a Montecitor­io andrà al voto una mozione di Sinistra Italiana che punta a sfrondare la legge elettorale, entrata in vigore il 1° luglio scorso, da «tutti gli evidenti profili di incostituz­ionalità ». L’eventuale approvazio­ne non avrebbe effetti concreti (la mozione ha soltanto valore di indirizzo) ma sarebbe un chiaro segnale politico, l’invito esplicito di un ramo del Parlamento a cambiare l’Italicum. D’altronde, la linea di Renzi - che da giugno ha annunciato il suo “silenzio stampa” sulla legge elettorale - è chiara: l’Italicum non è blindato, è facoltà delle Camere modificarl­o. Come invocato, all’indomani delle elezioni amministra­tive che hanno consegnato il quadro di un’Italia tripolare anziché bipolare, non più unicamente dalle opposizion­i (tutte tranne il M5S e Fi, che rimanda ogni discussion­e a dopo il referendum) e dalla minoranza Pd, ma anche dal presidente emerito Giorgio Napolitano e da una larga parte di esponenti dem, da Dario Franceschi­ni a Matteo Orfini.

C’ è poi il piano giuridico, conl’ appuntamen­to clou del 4 ottobre, quando sarà la Consulta a pronunciar­si sulla costituzio­nalità della legge elettorale, grazie alla questione sollevata dai tribunali di Messina e di Torino. Ogni scenario è aperto, compreso quello che potrebbe vedere i giudici costituzio­nali ripetere il copione già utilizza top erilP or ce llum: bocciare alcune parti del provvedime­nto, che significhe­rebbe comunque dire addio all’Italicum come varato, con doppio turno e premio di maggioranz­a alla lista che supera il 40% dei voti. La presidenza del Consiglio si è costituita in giudizio: la tesi dell’ Avvocatura dello Statone i due atti di intervento depositati( una memoria dovrebbe arriva- re a settembre) è che si è in presenza di una «lite fittizia», dal momento che «nessuna elezione si è svolta in base a questa legge» e «nessuna lesione del proprio diritto può essere addotta da alcun cittadino».

Il fronte di chi chiede correzioni intanto si allarga. A proporre uno stop al doppio turno è stato ieri, in un’intervista al Mattino di Napoli, il ministro della Giustizia Andrea Orlando, che ha spiegato: «Un premio di maggioranz­a proporzion­ale al risultato potrebbe evitare le coalizioni forzate e al contempo garantire buone probabilit­à di governabil­ità». Ma Orlando si allinea ai vertici del Pd quando aggiunge che «chiunque dica che vuole cambiare l’Italicum, a partire dalla minoranza del Pd, deve verificare se esiste una maggioranz­a per farlo nella direzione che si auspica ».

Il nodo è quello. Perché ognuno ha la sua ricetta. I bersaniani - che 7È la nuova legge elettorale per la Camera dei deputati che è entrata in vigore il 1° luglio 2016. L’Italicum prevede un premio di maggioranz­a del 55% alla prima lista che ottiene più del 40% dei voti. Se nessuno supera il 40%, si va al ballottagg­io. I partiti dovranno ottenere almeno il 3% dei voti per poter entrare alla Camera. Il territorio è stato suddiviso in 100 collegi, nei quali ciascun partito presenta una lista di 6-7 candidati: il capolista è bloccato mentre per gli altri candidati vale il criterio delle preferenze già hanno minacciato di votare no al referendum se la legge elettorale resterà così com’è - puntano sul Mattarellu­m 2.0 già depositato alla Camera e al Senato: turno unico e premio di governabil­ità. «I cittadini tornerebbe­ro a scegliere i parlamenta­ri in collegi uninominal­i», sintetizza Roberto Speranza. Miguel Gotor plaude comunque all’intervento di Orlando: «Credo anche io che qualunque nuovo modello elettorale dovrà prevedere l’abolizione del ballottagg­io che non si addice a un modello di democrazia parlamenta­re come il nostro».

Franceschi­ni e i suoi propongono di assegnare il premio di maggioranz­a alla coalizione e non alla lista, d’accordo con una parte di Forza Italia e con gli alfaniani del Nuovo Centrodest­ra. I giovani turchi di Orfini guardano al modello greco, con turno unico e premio di maggioranz­a al primo partito. I Cinque Stelle hanno il loro “Toninellum” dal nome del deputato Danilo Toninelli che ci ha lavorato: un sistema proporzion­ale “corretto”, con un misto di circoscriz­ioni medio-piccole e tre più grandi. Ma accusano gli altri partiti di voler ritoccare l’Italicum, che li favorirebb­e (l’Istituto Cattaneo ha definito il M5S «macchina da ballottagg­io»), soltanto per danneggiar­li.

Il cantiere è aperto e procederà di pari passo con la campagna referendar­ia. Dal fronte del sì Pier Ferdinando Casini liquida così la questione: «La legge elettorale non c’entra, tutti sanno che sarà cambiata». Il punto è che «dire no al referendum sulle riforme è dire no all’Italia». L’esatto opposto di quanto pensa il M5S, che ieri sera - alla tappa di Giulianova, in Abruzzo, del # Costituzio­ne Co astTo Co ast, il tour in scooter di Alessandro Di Battista - per il no ha schierato l’artiglieri­a: il candidato premier in pectore Luigi Di Maio e il garante Beppe Grillo, sempre più presente, nonostante l’annunciato «passo di lato». Il viaggio estivo è puntello indispensa­bile per l’agognata metamorfos­i pentastell­ata da forza di protesta a forza di governo. Di Maio ha invitato a resistere: «Al massimo un altro anno, poi ci saranno le elezioni e li manderemo a casa».

CASINI «Dire no al referendum sulle riforme è dire no all’Italia, ma la legge elettorale non c’entra, tutti sanno che sarà cambiata»

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