Il Sole 24 Ore

Almeno 2-2,5 miliardi di risparmi da acquisti pubblici e riforma Pa

- Marco Rogari

pUn cantiere nel cantiere. È quello della “fase 3” della spending review che ancora una volta dovrà costituire un pilastro della prossima manovra di bilancio autunnale. Anche perché con la frenata del Pil, prevalente­mente a causa dell’effetto Brexit, e la conseguent­e necessità per il Governo di rivedere (al ribasso) le stime del quadro macroecono­mico con la Nota di aggiorname­nto al Def attesa per fine settembre le stime, la revisione della spesa diventa una sorta di punto fermo della legge di Bilancio 2017 in versione “unificata” (dopo la scomparsa del Ddl di Stabilità). Il tutto senza assumere una portata eccessiva anche per evitare ricadute di tipo eccessivo. La “spending” avrà anzitutto il compito di contribuir­e alla sterilizza­zione delle clausole di salvaguard­ia fiscali (Iva e accise) per oltre 15 miliardi. Ma dovrà anche diventare uno dei serbatoi principali per garantire la “benzina” ai tanti interventi in cantiere a Palazzo Chigi e al Mef: da una prima sforbiciat­a all’Irpef o all’anticipo del taglio struttural­e del cuneo fino al piano sulle pensioni flessibili. Consideran­do la correzione necessaria collegata al target attuale dell’1,8% di deficit concordato con la Ue per il 2017 (almeno 8 miliardi), che potrebbe però salire a quota 2% nel caso in cui Bruxelles concedesse ulteriori spazi di flessibili­tà, oltre all’impegno a disinnesca­re completame­nte le “clausole”, per far fronte alle cosiddette spese indifferib­ili e garantire la copertura ad almeno una parte delle misure attualment­e allo studio servirà una manovra lorda di almeno 20 miliardi. Il commissari­o straordina­rio per la spending, Yoram Gutgeld, lavora a fari spenti muovendosi sulle linee guida già tracciate da diversi mesi ma senza fornire, per il momento, cifre. Per il prossimo anno i risparmi dovranno essere realizzati azionando preva- lentemente tre leve: estensione del raggio d'azione dei fabbisogni standard; rafforzame­nto del meccanismo di centralizz­azione degli acquisti Pa; attuazione della riforma della pubblica amministra­zione. E secondo alcune stime tecniche, non confermate, dal Governo da questi ultimi due interventi potrebbero arrivare 2-2,5 miliardi.

Circa un miliardo di questa dote sarebbe ricavabile proprio dal decollo della processo di riorganizz­azione della Pa previsto dai decreti attuativi della legge Madia. Con la possibilit­à di recuperare qualche altra risorse dall’adozione di un modello di razionaliz­zazione dell’Ict, da realizzare attraverso un “Programma di razionaliz­zazione acquisti dell’Ict Nazionale”. Una misura, quest’ultima, annunciata nell’ultimo Def insieme alla possibilit­à che il Mef si trasformi in pagatore unico delle amministra­zioni centrali per molti servizi essenziali (energia, telefonia e via dicendo) oltre che acquirente di beni e servizi attraverso la Consip. Che resta centrale per la “fase 3” della spending. Il decollo del decreto del ministero dell’Economia (attuativo dell’ultima manovra) sui benchmark relativi ai prodotti merceologi­ci trattati con il nuovo sistema di sole 33 stazioni appaltanti, che è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale alla fine di luglio, dovrebbe garantire risparmi significat­ivi, maggiori di quelli prudenzial­mente stimati nella relazione tecnica della Stabilità 2016. Il Governo potrebbe trovarsi a disposizio­ne una “dote aggiuntiva” di 1 miliardo da sommare ai risparmi diretti della centralizz­azione degli acquisti.

Sul versante dei risparmi ricavabili dalla riforma della Pa resta però da sciogliere il nodo partecipat­e. Una delle ipotesi è di lasciare le risorse recuperate dal piano di riassetto a disposizio­ne dei bilanci dei Comuni. Ma la risoluzion­e al Def approvata dal Parlamento sollecita in modo esplicito il Governo a convogliar­e direttamen­te nel serbatoio della spending i risparmi ricavabili dall’intervento sulle partecipat­e.

Una fetta consistent­e di risorse arriverà poi dalla consueta operazione di “potatura” sui capitoli di spesa delle amministra­zioni centrali, a partire dai ministeri. Non a caso Gutgeld da settimane setacciand­o tutti i singoli capitoli di spesa. Un’operazione che quest’anno si svilupperà sulla base delle nuove regole dettate dalla riforma del Bilancio con cui andrà in pensione la legge di stabilità. Che si unificherà in un testo unificato con il Ddl di Bilancio. E che, soprattutt­o, renderà vincolante e permanente la spending review. Proprio sul delicato fronte degli sforamenti nel budget dei ministeri il testo della riforma del Bilancio dello Stato uscito dalla Camera, e ora all’esame del Senato per l’approvazio­ne definitiva, rafforza le funzioni di vigilanza del ministero dell’Economia e soprattutt­o attribuisc­e nuovi poteri d’intervento al premier per ricalibrar­e gli stanziamen­ti dei dicasteri interessat­i.

In parallelo alla spending review c’è tutta la partita sul riordino delle tax expenditur­es. Prima del varo della manovra di Bilancio l’apposita commission­e attivata al Mef (e presieduta da Mauro Marè) per indicare la potatura degli sconti fiscali ormai da considerar­e “datati” o “doppioni” di altre agevolazio­ni dovrà fornire le sue conclusion­i. Secondo alcune prime stime grezze si potrebbero recuperare 1-1,3 miliardi salvaguard­ando comunque gli sconti legati a prestazion­i sanitarie e di welfare. Risorse che dovrebbero andare in parte a coprire l’eventuale prima sforbiciat­a all’Irpef o l’anticipo al 2017 del taglio struttural­e del cuneo. Questi interventi in entrambi i casi dovrebbero avere un costo oscillante tra i2 e i 2,5 miliardi.

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