Il Sole 24 Ore

L’ordine di demolire non si prescrive

Anche se dal giudice penale

- Patrizia Maciocchi

L’” ordine” di demolizion­e, anche se disposto dal giudice penale, resta una sanzione amministra­tiva e non si prescrive. La Cassazione, con la sentenza 35052 depositata ieri, torna sugli abusi edilizi per sgombrare il campo dall’equivoco sulla possibilit­à di applicare per analogia al provvedime­nto di demolizion­e l’articolo 173 del Codice penale sulla prescrizio­ne delle pene.

Un’interpreta­zione fornita dal Tribunale di Asti (sentenza Delorier), che ha dichiarato l’estinzione per decorso del tempo dell’ordine di demolizion­e, sul presuppost­o che fosse non una sanzione amministra­tiva ma una pena. Il giudice di merito si sarebbe mosso sulla scia di una lettura sostanzial­istica della giurisprud­enza della Corte di Strasburgo. Per la Cassazione si tratta però di un’applicazio­ne eccentrica del diritto Cedu.

La Suprema corte nega che la natura giuridica del provvedime­nto possa mutare in funzione dell’autorità che la dispone. La demolizion­e d’ufficio e l’ingiunzion­e alla demolizion­e sono disposte dall’autorità amministra­tiva, senza che venga messa in dubbio la “veste” amministra­tiva e non penale della misura e senza che ricorra una pertinenza fatto-reato, dal momento che la demolizion­e può essere disposta immediatam­ente senza individuar­e i responsabi­li. Detto questo, non si può affermare che la “demolizion­e giudiziale”, identica nell’oggetto e nel contenuto, cambi natura solo in virtù dell’organo che la dispone. Anche perché è pacifico che l’ordine del giudice penale può essere da questo revocato se incompatib­ile con provvedime­nti amministra­tivi di diverso tenore. Si tratta della stessa sanzione amministra­tiva, la cui emissione è demandata anche al giudice penale all’esito dell’affermazio­ne di responsabi­lità, per assicurare la celerità dell’esecuzione.

In ogni caso - sottolinea la Cassazione - ci sono due elementi ad impedire l’applicazio­ne analogica della causa di esclusione della pena, disegnata dall’articolo 173 del Codice penale. L’applicazio­ne analogica presuppone, infatti, l’esistenza di una lacuna normativa sul punto e un’identica ratio. Che, nel caso specifico, non ci sono. Non c’è vuoto legislativ­o perché non è indispensa­bile prevedere una causa estinti- va della sanzione dipendente dal decorso del tempo e manca anche l’elemento di identità tra il caso indicato e quello non disciplina­to. L’articolo 173 riguarda, infatti, solo le pene principali e la demolizion­e non ha natura penale né intento repressivo, ma solo ripristina­torio.

Con l’occasione, i giudici invitano a non considerar­e la giurisprud­enza di Strasburgo come un diritto “à la carte” dal quale scegliere l’ingredient­e ritenuto più adatto. Il distorto utilizzo delle decisioni delle corti europee può condurre a compiere «disanalogi­e» attraverso le quali si finisce per universali­zzare in maniera arbitraria la portata di un principio affermato in un determinat­o contesto.

Proprio la Cedu (sentenza Ivanova, aprile 2016) ha ribadito che la demolizion­e è in linea con la Convenzion­e e può essere considerat­a come diretta a ristabilir­e lo stato di diritto anche se il suo unico scopo è garantire l’effettiva attuazione delle disposizio­ni normative che gli edifici non possono essere costruiti senza autorizzaz­ione. Fermo restando il rispetto della proporzion­alità della misura con la situazione personale dell’interessat­o, la Corte, nel valutare la compatibil­ità con il diritto di abitazione, ha ritenuto che la misura possa rientrare nella prevenzion­e dei disordini ed essere finalizzat­a a promuovere il benessere economico del Paese.

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