L’ordine di demolire non si prescrive
Anche se dal giudice penale
L’” ordine” di demolizione, anche se disposto dal giudice penale, resta una sanzione amministrativa e non si prescrive. La Cassazione, con la sentenza 35052 depositata ieri, torna sugli abusi edilizi per sgombrare il campo dall’equivoco sulla possibilità di applicare per analogia al provvedimento di demolizione l’articolo 173 del Codice penale sulla prescrizione delle pene.
Un’interpretazione fornita dal Tribunale di Asti (sentenza Delorier), che ha dichiarato l’estinzione per decorso del tempo dell’ordine di demolizione, sul presupposto che fosse non una sanzione amministrativa ma una pena. Il giudice di merito si sarebbe mosso sulla scia di una lettura sostanzialistica della giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Per la Cassazione si tratta però di un’applicazione eccentrica del diritto Cedu.
La Suprema corte nega che la natura giuridica del provvedimento possa mutare in funzione dell’autorità che la dispone. La demolizione d’ufficio e l’ingiunzione alla demolizione sono disposte dall’autorità amministrativa, senza che venga messa in dubbio la “veste” amministrativa e non penale della misura e senza che ricorra una pertinenza fatto-reato, dal momento che la demolizione può essere disposta immediatamente senza individuare i responsabili. Detto questo, non si può affermare che la “demolizione giudiziale”, identica nell’oggetto e nel contenuto, cambi natura solo in virtù dell’organo che la dispone. Anche perché è pacifico che l’ordine del giudice penale può essere da questo revocato se incompatibile con provvedimenti amministrativi di diverso tenore. Si tratta della stessa sanzione amministrativa, la cui emissione è demandata anche al giudice penale all’esito dell’affermazione di responsabilità, per assicurare la celerità dell’esecuzione.
In ogni caso - sottolinea la Cassazione - ci sono due elementi ad impedire l’applicazione analogica della causa di esclusione della pena, disegnata dall’articolo 173 del Codice penale. L’applicazione analogica presuppone, infatti, l’esistenza di una lacuna normativa sul punto e un’identica ratio. Che, nel caso specifico, non ci sono. Non c’è vuoto legislativo perché non è indispensabile prevedere una causa estinti- va della sanzione dipendente dal decorso del tempo e manca anche l’elemento di identità tra il caso indicato e quello non disciplinato. L’articolo 173 riguarda, infatti, solo le pene principali e la demolizione non ha natura penale né intento repressivo, ma solo ripristinatorio.
Con l’occasione, i giudici invitano a non considerare la giurisprudenza di Strasburgo come un diritto “à la carte” dal quale scegliere l’ingrediente ritenuto più adatto. Il distorto utilizzo delle decisioni delle corti europee può condurre a compiere «disanalogie» attraverso le quali si finisce per universalizzare in maniera arbitraria la portata di un principio affermato in un determinato contesto.
Proprio la Cedu (sentenza Ivanova, aprile 2016) ha ribadito che la demolizione è in linea con la Convenzione e può essere considerata come diretta a ristabilire lo stato di diritto anche se il suo unico scopo è garantire l’effettiva attuazione delle disposizioni normative che gli edifici non possono essere costruiti senza autorizzazione. Fermo restando il rispetto della proporzionalità della misura con la situazione personale dell’interessato, la Corte, nel valutare la compatibilità con il diritto di abitazione, ha ritenuto che la misura possa rientrare nella prevenzione dei disordini ed essere finalizzata a promuovere il benessere economico del Paese.