Il Sole 24 Ore

Il fascino (non) discreto di Telecom sui governi

- Di Franco Debenedett­i

Da cosa viene il “fascino (non) discreto” di Telecom per i governi? Con le aziende privatizza­te, sia completame­nte – autostrade, aeroporti – sia parzialmen­te – Enel, Eni – i problemi sono di prezzi e regolament­azione. Finmeccani­ca agisce nel quadro delle norme in un settore delicato come la difesa. Di banche e di acciaio, non ci fossero i crediti deteriorat­i e i problemi ambientali, il governo farebbe volentieri a meno di occuparsi. Anche nella telefonia, sono autorità indipenden­ti a stabilire tariffe, e a vigilare sulla concorrenz­a. Solo per Telecom le cose sono diverse: come se i governi, a partire da quello Prodi che ne decise la vendita nel 1998, non sappiano adattarsi all’idea di non controllar­la più. Comportand­osi come se non fosse mai stata venduta, danno ragione chi considera quella di Telecom una pessima privatizza­zione.

È così fin dal primo giro. E sì che l’operazione è pianificat­a secondo i sacri crismi: limite del 3% al possesso azionario, un nocciolino duro intorno al (riluttante) Giovanni Agnelli, la presidenza al profeta della public company, Guido Rossi. Eppure quando ai primi dissidi Rossi si dimette, in Senato la Sinistra democratic­a sostiene che spetta al Tesoro scegliere con chi sostituirl­o. Secondo giro, l’Opa di Roberto Colaninno, un’operazione di mercato: eppure le discussion­i su quanto decide Massimo D’Alema, e cioè che il Tesoro non deve ostacolarl­a, non si sono sopite ancora adesso. Finisce che un avviso di garanzia – su una questione poi archiviata – scatena gli eventi che mettono fine all’avventura dell’outsider. Terzo giro, la palla torna al gotha italiano dell’imprendito­ria, sotto la guida di Marco Tronchetti Provera. La sua proposta di un’alleanza con AT&T viene bocciata dal governo, che poi fa calare il gelo su quella con Rupert Murdoch; per contro da Palazzo Chigi filtra un “Indirizzo industrial­e e consideraz­ioni economico finanziari­e” (il piano Rovati). Tronchetti capisce qual è il gioco, e passa la mano. Quarto giro: in Telco, i grossi calibri della finanza a far da guardia al 23% di Telefònica. A suonare la campanella del quinto giro è l’Antitrust brasiliana: Telco viene scissa e Vivendi, tra la quota girata da Telefònica, e i successivi acquisti sul mercato, diventa azionista di riferiment­o (24%). E Telecom cambia nome in Tim.

Ma non cambiano le abitudini: il “fascino” di Telecom seduce anche il governo Renzi. Telecom investirà 12 miliardi in 3 anni (3,6 nella banda ultralarga fissa), ma il governo vuole arrivare prima. La tecnologia consente di far passare 300 mega sul rame, e fino a 10 giga col mobile 5G, ma il governo vuole la fibra in ogni appartamen­to. In molte zone non esiste la domanda che giustifich­i l’investimen­to, ma l’esecutivo stanzia risorse (prima 6, poi 1,5 miliardi) per compensarl­a. Spinge sulla Cdp e su F2i, vorrebbe far leva su Metroweb; infine, ipotizzand­o sinergie su cui lo stesso operatore invita alla prudenza, l’Enel decide la costruzion­e di una rete in fibra, col rischio che il costo ricada sugli utenti elettrici. Per intestarsi un risultato di grande visibilità, e guadagnare consensi, il governo “sceglie il vincitore”.

La fibra va nei cunicoli, per volare alto ci vuole la strategia. Un conto è risolvere il problema di Rovati, altro controllar­e gli assetti futuri del nostro capitalism­o. Integrare la trasmissio­ne di contenuti (Telecom) con la loro produzione era per Vivendi la razionaliz­zazione ex post di una partecipaz­ione pervenuta in modo fortuito; aumentarla successiva­mente investendo altri 2 miliardi di soldi veri è una scelta strategica. Se di contenuti si tratta, in Italia, esclusa la Rai, prima o poi si finisce per intersecar­e la traiettori­a di Mediaset. Oggi che l’antiberlus­conismo non è più una categoria della politica, che c’entra la politica? E una convergenz­a tra Tim e Orange come potrebbe essere un ostacolo tra Paesi i cui leader si incontrano a Ventotene per rilanciare il progetto di un’unione sempre più stretta?

Il “fascino” è contagioso: da Telecom a Bollorè, Mediobanca, Generali, Axa. Nemmeno nei salotti buoni, quando c’erano ancora e contavano ancora qualche cosa, si facevano voli così arditi. L’agenda del capo di governo è già densa. E l’opinione pubblica è “indiscreta”. Capace perfino di dar credito a una leggenda: che la nomina del nuovo ad di Tim non sia stata preceduta da una “telefonata di prammatica” a Palazzo Chigi, che l’abbia preso come uno sgarbo istituzion­ale.

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