Quotazioni in salita per gli ori di Rio
Il ritorno d’immagine dopo una medaglia è difficile da quantificare, ma certo
C’è pochissimo oro in quei 500 grammi di patacca che consacra nella storia dello sport chi la porta al collo a Rio. Ma abbastanza per trasformarlo in montagne di soldi se lo si esibisce negli uffici giusti. Per esempio, quelli degli sponsor che gonfieranno i conti di Usain Bolt, l’uomo più veloce del mondo, del marziano Michael Phelps, con i suoi cinque ori e un argento, e della strepitosa Simone Biles, la ginnasta con la faccia che sembra un emoticon.
Le loro medaglie peseranno più di mezzo chilo sul tavolo dove verranno ridiscussi i loro contratti di sponsorizzazione. In che percentuale è da vedere e, in fondo, vinta quella di Rio per loro inizia un’altra sfida, non meno importante: «È impossibile quantificare l’aumento perché entrano in gioco tante variabili», spiega Stefan Szymanski, docente di Sport e management all’Università del Michigan. «Il ritorno d’immagine dopo un’Olimpiade è certo, sia nel lungo che nel breve termine. Dopo Rio, gli atleti avranno una capacità attrattiva maggiore e quelli che hanno vinto poco saranno dimenticati in fretta, ma quelli che sul podio sono saliti tante volte diventano leggende olimpiche con un significativo valore a livello pubblicitario».
Non sono, dunque, tempi da gloria e corone sul capo, come accadeva in Grecia. Il premio nelle Olimpiadi antiche era solo un simbolo: corone di lauro a Delfi, di pino a Corinto, di sedano selvatico a Nemea e ad Olimpia di ulivo selvatico, la pianta che, come scrive Pindaro nella terza Olimpica, sarebbe stata portata dalla terra favolosa degli Iperborei e che simboleggia la grandezza di Atene.
Prendiamo Speedy Bolt, ha stregato il Brasile, ha avuto lo stadio ai suoi piedi alla ricerca di “alegria” e selfie da album di sto-
ria: di quanto potrà migliorare, a 30 anni, il suo budget annuale che, secondo Forbes, è di 32,5 milioni di dollari, cioè di 3.700 dollari all’ora? Potrà offrirsi come l’uomo più veloce del mondo per monetizzare al meglio. Anche Phelps, tornato in piscina dopo alcool e arresto, darà una svolta al suo conto in banca. È vero, con i cinque ori di Rio, ha salutato i Giochi ma gli sponsor cercheranno le sue bracciate immense. Ha guadagnato tanto in carriera (1,8 milioni di dollari solo con i premi del comitato Usa per le medaglie), si è permesso una casa faraonica di 700 metri quadrati in Arizona, nella Paradise Valley, ha creato la
fondazione che porta il suo nome con i bonus di Pechino per progetti di avviamento allo sport: i suoi 12 milioni di dollari all’anno saliranno, anche perché questo nuovo volto di Phelps, padre avvolgente del piccolo Boomer, fa comodo agli sponsor.
Fulgido futuro pure per Simone Biles, 19 anni, un’infanzia tormentata alle spalle, un body da 1.200 dollari e quattro ori nella ginnastica: nessuna americana mai come lei. Le sue giravolte contro la forza di gravità, i suoi record, il suo fiocchetto tricolore in testa, la sua manina che fa 4 con le dita sono una miniera: secondo Forbes, la piccola americana è
l’atleta dei Giochi con le migliori prospettive a livello di marketing.
Certo che, guardando l’ultimo “Sports Illustrated”, la bibbia dello sport mondiale, con Phelps, Biles e Katie Ledecky e i loro 13 ori olimpici in prima pagina sembra straniante immaginare che ci sia spazio anche per contratti con atleti meno vincenti. «Tutti gli atleti portano a casa qualcosa – continua il professor Szymanski - Ma sul valore dei guadagni incidono la nazionalità: la maggior parte della pubblicità è nazionale, e pochi atleti riescono ad andare oltre una riconoscibilità nazionale: Bolt supera i confini della Giamaica, mentre, ad esempio, la fa- vola delle ragazze britanniche dell’hockey riuscirà a colpire l’immaginario del Regno Unito, ma non di altri Paesi». Ci sono poi vari fattori che segnano i contratti pubblicitari: «Il Pil dei Paesi: in quelli più ricchi – spiega il docente americano – c’è più pubblicità; poi contano lo sport che si pratica (i 100 metri sono più affascinanti dell’hockey), il genere (le donne hanno meno probabilità di attrarre sponsorizzazioni), il bell’aspetto, la personalità. Su ogni contratto si incrociano decine di variabili, per questo è impossibile quantificare oggi quanto guadagneranno le medaglie di Rio».
Di certo però, i bad boys dei Giochi pagheranno dazio anche con gli sponsor. Ryan Lochte, una vita nell’ombra di Phelps e 6,2 milioni di dollari incassati nel 2015, sconterà per la bugia sulla rapina mai avvenuta a Barra de Tijuca: «I grandi marchi sono attenti ai valori o ai disvalori di cui uno sportivo si fa portatore e non esitano a scaricarlo», dice Andrew Zimbalist, docente di Economia allo Smith College e autore di “Circus Maximus”, volume che i manager di Roma 2024 farebbero bene a leggere per non incappare nelle sciagure organizzative di Giochi passati.
Wait and see, paiono dire oggi i guru del marketing. Certo è che, aspettando montagne di quattrini, Phelps, Biles e Ledecky, in arrivo negli Usa, avranno un piccolo impiccio. Per ogni oro vinto, 6 grammi d’oro per un valore di circa 600 dollari, dovranno versare in dogana 240 dollari di tasse federali. Briciole rispetto ai milioni che verranno.
PENSIONE DORATA I Giochi hanno sancito il ritiro di Michael Phelps, ma il suo nuovo ruolo di padre continuerà a renderlo appetibile