Individualisti che sanno fare squadra
Baciccia Parodi, tornato dai suoi tre giorni di ferie, turba i miei sonni con una domanda da un milione di dollari. Dice che andiamo meglio negli sport di squadra piuttosto che nelle gare individuali e vuol sapere perché. E aggiunge: «Non dicono tutti che siamo un popolo di individualisti, indisciplinati e addirittura incapaci di stare in fila?».
Non conoscendo la risposta, la prendo alla larga ma comincio a riflettere sul fatto che, nelle staffette – per esempio –, non oggi ma in tempi purtroppo ormai lontani, riuscivamo a fare bella figura contro avversari la cui somma dei tempi era nettamente inferiore alla nostra, per il semplice fatto che nessuno come gli italiani riusciva a guadagnare decimi di secondo nel passaggio del testimone. E con la memoria torno al capolavoro dei mondiali di Helsinki, primi anni 80, quando, nella 4 x 100, Tilli, Simionato, Pavoni e Mennea presero l’argento, subito dietro a Carl Lewis e non-ricordo-più-chi, che pure fecero il record del mondo.
Anche a Rio, quando c'è da coordinarsi – ovvero fare gioco di squadra –, nella pallavolo, nella scherma e nella pallanuoto, così come nel tiro con l’arco e nel beach volley, abbiamo fatto la nostra figura. Addirittura, nel ciclismo su pista, il quartetto dell’inseguimento ci ha stupito con un 5° posto ritenuto impossibile per una squadra convocata per i Giochi, dopo la defezione dei russi, che era ormai in vacanza.
Baciccia, da inguaribile malato di calcio, aggiunge poi che non si vincono a caso quattro mondiali: «Eppure siamo un Paese, come diceva il vecchio Brera, in cui è endemica la guerra civile. E per far dispetto al vicino siamo capaci di danneggiare noi stessi…». Vero, caro Baciccia, e penso anche, dopo aver sfogliato per l’ennesima volta quel capolavoro che è “Antistoria d’Italia” di Fabio Cusin sono convinto che lo sport nazionale è la congiura. Quando siamo in pochi – quando, cioè, si tratta di una squadra – riusciamo a metterci d’accordo e a coordinarci come nessuno, e sappiamo anche vincere. Illudendoci ogni volta che non torneremo già domani a beccarci come i polli di Renzo, e senza nulla togliere – aggiungo – a certe vittorie individuali di atleti che hanno illuminato la nostra gioventù di incalliti sedentari.