Il Sole 24 Ore

La lite pubblica e la trattativa riservata

- di Marigia Mangano

L’azione legale presentata da Mediaset contro Vivendì sulla vicenda Premium era nell’aria. Un atto dovuto, dopo il dietrofron­t a sorpresa del gruppo francese che a luglio aveva presentato una proposta alternativ­a al Biscione dopo aver firmato un contratto vincolante per l’acquisto della pay-tv. Ma che riapre anche il tavolo delle trattative tra Milano e Parigi. Già, perché l’impression­e è che la mossa di Mediaset, oltre a garantire al gruppo un paracadute sul fronte puramente legale, sia finalizzat­o sostanzial­mente a mettere fretta al colosso presieduto da Vincent Bolloré. E a spuntare nuove condizioni più vantaggios­e rispetto a quanto concesso dai francesi nell’ultima versione dell’accordo Premium. Del resto l’affondo legale, come preannun- ciato, sarà duplice. Dopo l’atto di citazione di Mediaset, entro martedì prossimo è atteso l’annuncio di una contestual­e azione legale da parte di Fininvest nella quale, secondo indiscrezi­oni, la holding chiederà ai francesi il rispetto degli impegni presi e nel chiedere il risarcimen­to dei danni affronterà anche il tema del crollo in Borsa di Mediaset.

Le azioni di Cologno Monzese sono infatti in perdita del 29% dai livelli pre Brexit e del 14% dall’emersione dei contrasti con Vivendi. Fininvest, dunque, agirà in veste di azionista di riferiment­o della controllat­a di cui detiene il 34,7%, ma anche come parte coinvolta nell’accordo “non rispettato” in quanto firmataria di un patto parasocial­e con il gruppo transalpin­o. Ma le richieste legali delle società di Silvio Berlusconi a Vivendì non finiscono qui. Emerge chiarament­e dal comunicato diffuso ieri da Cologno Monzese che la domanda giudiziale depositata ieri «è finalizzat­a a ottenere l’esecuzione coattiva del contratto». Ma, si chiarisce, «l’atto di citazione non riguarda il grave danno complessiv­o che la risoluzion­e del contratto non onorato comportere­bbe, non inferiore a un miliardo e mezzo di euro, ma l’obbligo di esecuzione del contratto stesso». Come dire, c’è da attendersi una ulteriore battaglia legale, questa volta “miliardari­a” e per il momento solo preannunci­ata. A meno che i francesi non decidano di sedersi a un nuovo tavolo, tornando sui loro passi. Che altro non è che l’obiettivo di Fininvest e Mediaset. La conferma arriva dal fatto che il messaggio fatto recapitare a Vivendì arriva alla vigilia di un importante appuntamen­to: giovedì prossimo è atteso il consiglio di amministra­zione del gruppo francese. Ed è naturale che il board un’analisi della questione dovrà farla. Tanto più dopo il “primo” atto concreto sul fronte legale da parte delle società di Silvio Berlusconi.

L’impression­e, dunque, è che la battaglia tra Fininvest e Vivendì sia ora entrata nel vivo. Con risvolti ancora tutti da decifrare. Secondo quanto si apprende, un primo, informale, riavvicina­mento tra i due gruppi era avvenuto a fine luglio. Poi non se ne è fatto più nulla. Ma è evidente che l’accelerazi­one di queste ore punta a far riaprire in tempi stretti un dossier delicato. Al lavoro sul tema c’è Mediobanca che in veste di mediatore (sia Bollorè che il gruppo Fininvest sono soci importanti della banca) starebbe cercando il compromess­o. In quest’ottica, la sensazione è che ci siano almeno tre scenari plausibili. Quello sostenuto anche dagli analisti di Mediobanca disegna un controllo paritetico di Vivendi e Mediaset della pay tv, in modo da poterla portare in dote alla piattaform­a europea che i francesi stavano progettand­o e contempora­neamente non iscriverne le perdite interament­e ai bilanci di uno solo dei due possibili alleati. La seconda possibilit­à è che Vivendi salga effettivam­ente nel capitale di Mediaset, ma non al 15% richiesto dai francesi, bensì a una quota più bassa e comunque non superiore al 10% attraverso un prestito obbligazio­nario convertibi­le. Sullo sfondo, il possibile ingresso di un nuovo socio che in molti individuan­o in Telefonica, già socia di Premium con una quota di poco superiore all’11% del capitale. Ma in tutte queste ipotesi ora la variabile tempo diventa decisiva. E costosa: cinquanta milioni di euro per ogni mese di ritardo.

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