Il Sole 24 Ore

L’arma a doppio taglio della «nuova normalità»

La Fed indugia nella strategia attendista: elezioni imminenti, r ischio di «strozzare» il dollaro e dati macro non univoci invitano alla cautela La politica monetaria Usa esalta le quotazioni di Wall Street e zavorra quelle del Vecchio continente

- Di Marzia Redaelli

Le Borse hanno perso qualche colpo dopo i rialzi di agosto. Però Wall Street rimane aggrappata ai massimi storici, mentre le Piazze europee faticano a recuperare le perdite da inizio anno. Milano, in particolar­e, soffre le vendite sui titoli bancari. Infatti, l'era della “nuova normalità” dei bassi tassi di interesse - come è stata definita dalla Banca Centrale americana che tergiversa nell'abbandono della politica monetaria espansiva - è un'arma a doppio taglio che esalta le azioni Usa e, per contro, zavorra quelle del Vecchio Continente.

Nei verbali dell'ultima riunione della Banca Centrale Europea si sottolinea che i titoli bancari espongono il fianco ad ogni shock che minaccia l'economia (vedi Brexit), vulnerabil­i come sono ai bassi tassi di interesse che erodono la loro redditivit­à, e gravati dai crediti deteriorat­i.

Anche le minute del consiglio della Federal Reserve statuniten­se (pubblicate giovedì, lo stesso giorno di quelle della Bce) citano la fragilità del sistema bancario europeo tra le minacce esterne all'economia Usa, ma la Fed indugia nel clima accomodant­e pure per altre motivazion­i: le elezioni presidenzi­ali a novembre sono un monito a non prendere decisioni che incidono sul credito e sugli investimen­ti, e che potrebbero danneggiar­e il partito democratic­o in carica; inoltre, le manovre ultra-espansive in pieno svolgiment­o nel resto del mondo amplifican­o il rischio di strozzare il dollaro e i profitti della società Usa. In aggiunta, una comunicazi­one cacofonica della Riserva Federale rende meno credibile una svolta e - a dispetto delle esternazio­ni di alcuni membri sulla possibilit­à di un rialzo dei tassi a settembre - il mercato si crogiola nel brodo accomodant­e: il dollaro, al netto di qualche oscillazio­ne, si è indebolito oltre quota 1,13 sull'euro; i rendimenti dei titoli di Stato sono saliti, ma per ora hanno recuperato solo il panico del referendum inglese, e a due anni scontano un rialzo dello 0,25%; le probabilit­à di un ritocco a dicembre implicite nei contratti derivati sono inferiori al 50%. Qualche dato macroecono­mico fuori posto (come i nuovi ordini e l'occupazion­e nell'importante zona produttiva atlantica centrale, rilevati dall'indice della Fed di Philadelph­ia), non fa che avallare una strategia attendista, che non guasti un soddisface­nte status quo, costituito di crescita moderata degna della nuova normalità, di occupazion­e vicina alla saturazion­e, di inflazione prossima all'obiettivo e - non ultimo - di un mercato azionario tonico, a dispetto dei profitti tiratissim­i. E non bisogna dimenticar­e che la Fed continua a rimpiazzar­e i titoli obbligazio­nari acquistati in passato, contribuen­do tuttora a comprimere i rendimenti.

Invece, nell'Eurozona l'inflazione è ancora anemica (-0,6% il dato di luglio) e la crescita tentenna in Italia e in Francia, che sono al palo, nonostante l'allentamen­to monetario spiegato. Tuttavia gli investitor­i reiterano scommesse su un incremento degli stimoli – forse per mancanza di aspettativ­e sull'intraprend­enza dei governi – e tengono i rendimenti dei titoli di Stato dei Paesi periferici vicini ai minimi assoluti (con l'eccezione dei portoghesi, sotto esame per il merito di credito).

Ma oltre alle difficoltà dell'Europa, ci sono altre incongruen­ze in questa nuova normalità. Il balzo improvviso dello Yen, per esempio. E' vero che sale da contraltar­e al dollaro. Ed è anche vero che i mercati sono disincanta­ti da annunci di agevolazio­ni fiscali e monetarie, visto che dopo anni di iniezioni di denaro nel sistema l'economia è ripiombata in stallo (tra l'altro, Tokyo a -16% è il secondo peggior listino da gennaio tra quelli dei Paesi avanzati dopo Piazza Affari). Eppure lo yen sotto quota 100 sul biglietto verde – soglia lasciata nel novembre 2013 - sa di rientro dei finanziame­nti accesi per investire nelle Borse o di fuga da stress da mercati; oppure è uno strappo degli operatori automatici, che poi è un'ulteriore anomalia entrata nella normalità.

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