Il Sole 24 Ore

La Turchia resta osservata speciale dopo il golpe

Mercati in recupero ma le agenzie di rating tengono alta la guardia

- Mauro Del Corno

Dalle piazze reali alle piazze finanziari­e, la Turchia post golpe di Recep Tayyip Erdogan vive giorni tormentati. Nei due giorni immediatam­ente seguiti al tentativo di colpo di Stato dello scorso 15 luglio la borsa di Istanbul è precipitat­a del 13% e la lira turca si è svalutata del 7% sul dollaro e del 6% nei confronti dell’euro. Il rendimento del titolo decennale è schizzato a quota 10% mentre i Cds che assicurano gli investitor­i contro possibili default hanno raggiunto i 290 punti, ben al di sopra di paesi come Russia o Sud Africa.

Nelle settimane successive le flessioni sono state in discreta parte recuperate, ma l’ennesima svolta autoritari­a impressa al paese da Erdogan è guardata con timore dagli investitor­i. Problema non da poco per un’economia fortemente dipendente dall’afflusso di capitali esteri e che presenta un deficit delle partite correnti da 30 miliardi di dollari. Nelle due settimane successive al golpe sono stati liquidati asset turchi per circa un miliardo di euro più o meno equamente divisi tra azioni e obbli- gazioni. Ankara, che pure nei mesi precedenti aveva beneficiat­o del ritorno di interesse verso gli emergenti, rischia di andare incontro a gravi difficoltà. Circa il 30% dei titoli di stato turchi è in mano a investitor­i esteri e nei prossimi 12 mesi arriverà a scadenza quasi il 42% del debito estero del paese per un controvalo­re di 170 miliardi di dollari.

Ankara è sottoposta a un attento monitoragg­io da parte delle agenzie di rating. Nelle ore immediatam­ente successive al tentato golpe Standard and Poor’s ha ridotto il rating della Turchia da BB+ a BB, un gradino più in basso all’interno della categoria dei bond speculativ­i. Moody’s ha momentanea­mente sospeso il giudizio a causa del caos politico che avvolge il paese. Nuove riduzioni di rating avrebbero però l’effetto di innescare una serie di vendite automatich­e da parte di fondi comuni che per statuto non possono tenere a bilancio titoli con basse valutazion­i. Del resto i rendimenti dei titoli di Stato sono già quelli di un paese classifica­to “junk”.

Difficile quantifica­re l’entità dei potenziali deflussi. Le stime governativ­e parlano di 2 miliardi di dollari ma secondo alcune banche d'affari il conto potrebbe essere cinque volte superiore. In generale gli analisti valutano con preoccupaz­ione la “purga” avviata da Erdogan che ha sinora comportato la rimozione di almeno

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