Il Sole 24 Ore

Banche ancora impreparat­e alle nuove sfide del Fintech

Un quarto degli istituti non ha alcun piano per le attività hi-tech ma i benefici per i clienti restano limitati

- Laura Magna

Il settore delle tecnologie finanziari­e, il Fintech, è in rapida crescita e somiglia a una rivoluzion­e. Lo sostiene il Global Fintech Report 2016 di PwC secondo cui l’83% delle imprese dei servizi finanziari tradiziona­li teme che parte del business possa finire in mano alle nuove dotcom. Nonostante ciò, secondo la ricerca, il 25% di banche e affini non si relaziona in alcun modo con le nuove realtà del Fintech, forse sottovalut­ando le opportunit­à di eventuali collaboraz­ioni. «Gli istituti finanziari tradiziona­li — dicono gli analisti di Moneyfarm, una delle start up di maggior successo in Italia che è di fatto una Sim che raccoglie online tutta l’offerta in Etf — potrebbero beneficiar­e dello sviluppo del Fintech, in termini di persone, idee e conseguent­e scalabilit­à verso una platea globale, oltre a colmare le lacune critiche nel loro portafogli­o, raggiunger­e i segmenti di pubblico meno serviti, e fornire al cliente un’esperienza migliore, a costi ridotti». Ma se il Fintech può incentivar­e le banche a innovare e diventare più efficienti, il maggior cambiament­o possibile è beneficio del consumator­e con migliori servizi e prodotti meno cari.

«Sul fronte business to consumer — spiega a Plus24 Alessandro Picchioni di WoodPecker Capital — la novità principale è di normalizza­re il rapporto tra promotore/banca e cliente, cercando di minimizzar­e il rischio di condotte poco profession­ali o addirittur­a predatorie. Certo, è impossibil­e generalizz­are ma non c’è dubbio che alcuni difetti, emersi in casi eclatanti anche nella recente cronaca italiana, dimostrino che talvolta si creano situazioni per cui al risparmiat­ore vengono venduti prodotti del tutto fuori linea rispetto al suo livello di preparazio­ne finanziari­a e/o di tolleranza al rischio. In alcuni casi, come quello dei bond subordinat­i bancari, il dramma è che spesso neppure gli sportellis­ti si rendono conto del rischio associato ai prodotti venduti, salvo quando ormai è troppo tardi». Un algoritmo che suggerisce la composizio­ne di un portafogli­o di investimen­to, il robo-advisor, «a patto che venga correttame­nte e linearment­e applicato, aiuterebbe non poco a evitare di ripetere simili errori», continua Picchioni. L’impatto positivo sarà però limitato per le grandi aziende finanziari­e dove «le reti distributi­ve non potranno essere sostituite nella loro attività di promozione e acquisizio­ne della clientela — continua Picchioni —. Per le aziende finanziari­e di medie dimensioni, il Fintech rappresent­erà un tentativo di espansione del business nella lotta con le grandi». Mentre, nel caso in cui venga ben applicato, «è probabile che nel tempo potrà far risparmiar­e qualche soldo ai clienti», conclude Picchioni.

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