Le scelte rinviate e la zavorra del debito azzerano la crescita
Ineludibile alleggerire il fisco su lavoro e imprese e puntare sugli investimenti
In un Paese in cui il debito pubblico viaggia attorno al 130% del reddito nazionale come l’Italia, i dati sulla crescita zero nel secondo trimestre rilanciano inevitabilmente il dibattito sulle riforme rinviate e sul quanto e come usare la leva fiscale per alimentare il rilancio dell’economia in attesa delle misure della Legge di stabilità. In prospettiva, solo una solida e prolungata crescita può rassicurare gli investitori sulla dinamica del nostro debito che oggi è certamente sostenibile, ma resta una zavorra. Ancor più, solo la crescita può alimentare il surplus primario con il quale far fronte agli oneri del servizio di debito che in prospettiva potrebbe aumentare quando la Bce porrà fine al Qe. Focalizzarsi insomma oggi su una spending review che qualifichi la spesa pubblica e la renda davvero un fattore di sviluppo è importante anche per evitare che domani l’onere del servizio del debito cancelli i risparmi faticosamente e talvolta dolorosamente ottenuti. In queste condizioni, gli attori della politica economica devono dunque prestare molta attenzione affin- ché gli effetti delle manovre fiscali, da orientare su un alleggerimento della pressione su lavoro e imprese,siano ben calibrati per rilanciare da un lato lo sviluppo e per mantenere dall’altro un sentiero credibile di riduzione del rapporto debito/Pil nel medio termine. La bussola per orientare la politica fiscale dovrebbe quindi essere orientata fortemente verso gli investimenti, e meno verso la spesa corrente per stipendi, trasferimenti e consumi delle Pa. Con un forte e credibile impegno per utilizzare fino all’ultimo euro i Fondi strutturali Ue per la spesa in conto capitale.
Tornando al tema della debole crescita, tra le battaglie da condurre in Europa oltre a quelle per la flessibilità vi sono quelle per la condivisione dei rischi e per i meccanismi di compensazione, forse ancor più rilevanti. I dati economici di agosto ribadiscono che esiste un nodo europeo attorno al quale incertezza e sfiducia si avviluppano e che si può riassumere nelle performance così divergenti della Germania (0,4% nel secondo trimestre) e degli altri grandi Paesi dell’eurozona, con l’Italia a crescita zero tra aprile e giugno come la Francia che però ha un tendenziale più alto del nostro. Uno spa- zio monetario unico e per molti aspetti anomalo come quello europeo rafforza le tendenze all’agglomerazione produttiva verso il “centro” dell’area economica: per questo e in assenza di meccanismi riequilibratori automatici la divergenza macroeconomica continentale genera di per sé incertezza sulla sostenibilità di lungo termine della costruzione. Due possibili meccanismi di compensazione automatici sono l’assicurazione europea sui depositi e un contributo europeo al sussidio di disoccupazione. Entrambi automatici, contribuirebbero a “rigirare” verso la “periferia” dell’eurozona parte dei surplus commerciali e di bilancio del centro, alleviando il vincolo estero e fiscale dei Paesi in deficit e rafforzando la fiducia dei risparmiatori e dei lavoratori nel significato e nelle prospettive del progetto europeo. Risultato: più investimenti e consumi sostenibili nell’area euro e condizioni più favorevoli per la crescita anche sul versante mediterraneo.
L’impulso politico del nostro governo sui tavoli europei non può che avere questo orizzonte, ma nel frattempo le azioni per la crescita economica sul versante domestico vanno mirate al consolidamento, all’espansione e all’ammo- dernamento della base produttiva e della sua qualità. Con gli investimenti, appunto, che sono la vera variabile latente della nostra economia nell’ultimo decennio e che fanno giustizia delle diatribe se la bassa crescita sia un problema di domanda (l’investimento ha un impatto moltiplicativo sulla spesa aggregata) o di offerta (senza investimenti, meno efficienza produttiva e meno competitività). Prestando un’attenzione particolare al disegno dei provvedimenti, degli incentivi e dei meccanismi amministrativi che hanno effetti sui segmenti produttivi a più elevato valore aggiunto: la crescita infatti si potenzia tanto più si riesce ad attrarre sul territorio nazionale investimenti e occupazione “ad alto potenziale” in termini di reddito generato. Su questo versante, il ruolo e la qualità della Pa è cruciale: non basta pensare a un Patent box per consolidare e stimolare le attività innovative sul territorio, ma occorre che i provvedimenti connessi siano di facile uso da parte delle imprese e che gli uffici pubblici preposti alle certificazioni ed al ruling siano adeguati. E non sempre da noi è così: rivolgersi a imprenditori o manager per una conferma.