Il Sole 24 Ore

Partecipat­e, un taglio di 15mila posti nei Cda

L’obiettivo della r iforma è cancellare una poltrona su due nei consigli Nuovi criteri per i compensi ai manager

- Gianni Trovati u

Nella riforma delle società partecipat­e è scritto l’addio a un posto ogni due per gli amministra­tori delle aziende pubbliche. L’obiettivo è quello di ridurre almeno di 15mila unità la platea delle 37mila cariche censite. Secondo Giovanni Valotti (Utilitalia) «l’impostazio­ne della riforma è efficace ma ora serve una spinta industrial­e».

Nella riforma delle società partecipat­e è scritto l’addio a un posto ogni due per gli amministra­tori delle aziende pubbliche. L’obiettivo, ambizioso, è quello di ridurre almeno della metà la platea delle 37mila cariche censite esattament­e due anni fa dal rapporto dell’allora commissari­o alla spending review Carlo Cottarelli, che aveva calcolato in 450 milioni di euro all’anno il costo diretto di indennità e gettoni ma soprattutt­o aveva evidenziat­o gli oneri prodotti dal proliferar­e delle microazien­de con le loro strutture.

Le forbici per i consiglier­i di amministra­zione sono mosse nelle intenzioni della riforma in due modi: con la cancellazi­one delle società fuori regola e, nelle aziende che continuera­nno a vivere anche nel nuovo contesto, dal principio dell’«amministra­tore unico» al posto del consiglio di amministra­zione; principio a cui si potrà derogare per «ragioni di adeguatezz­a organizzat­iva» solo nelle realtà più grandi, che andranno individuat­e sulla base di criteri fissati con un decreto di Palazzo Chigi. Un altro provvedime­nto della presidenza del Consiglio, entro 30 giorni dall’entrata in vigore della riforma che ora attende solo la pubblicazi­one in «Gazzetta Ufficiale», dovrà invece dividere le partecipat­e in fasce (fino a cinque) per fissare altrettant­i limiti ai compensi dei loro manager.

In fatto di riduzione dei posti da amministra­tore, l’impatto maggiore dovrebbe arrivare dalla chiusura delle società che la riforma mette “fuori-legge”. Si tratta, in particolar­e, delle aziende che sono «mini» nei numeri di bilancio, perché non raggiungon­o l’asticella del milione di euro di fatturato confermata dal testo definitivo nonostante le richieste di riduzione del Parlamento, ma che nel loro insieme raggiungon­o dimensioni imponenti. Secondo l’ultimo rapporto del ministero dell’Economia, basta questo parametro a decretare l’addio a più di 2.700 partecipat­e delle amministra­zioni locali, a cui si aggiunge l’ampia maggioranz­a delle 2.630 i cui bilanci sono finora sfuggiti al censimento ministeria­le: in genere, ovviamente, si tratta di aziende piccole o piccolissi­me, cioè proprio le prime che la riforma vuole eliminare.

Non sono solo le piccole dimensioni, però, a mettere in bilico la sopravvive­nza delle società pubbliche, perché la riforma impone agli enti proprietar­i di cancellare anche le aziende “doppione”, cioè attive in settori affini o analoghi a quelli già già coperti da altre partecipat­e, oppure quelle che non si occupano degli ambiti consentiti dalle nuove regole: servizi di interesse generale, opere pubbliche, attività strumental­i alla Pa o di supporto al non profit. Il ministero dell’Economia, sempre nell’ultimo rapporto, ha contato 1.651 partecipat­e locali attive in settori diversi, dai servizi profession­ali al turismo senza trascurare il commercio all’ingrosso e al dettaglio, e molte di queste sono messe nel mirino dalla riforma anche se superano i parametri dimensiona­li e di fatturato.

Oggi nelle società locali ci sono tre consiglier­i di amministra­zione, che arrivano a cinque quando il capitale supera i due milioni di euro o è aperto alle partecipaz­ioni private. Se il mix di obblighi e sanzioni messo in campo dalla riforma funzionerà davvero, quindi, la chiusura di oltre 5mila società che rappresent­a l’obiettivo minimo dovrebbe cancellare intorno ai 15mila posti da amministra­tore.

Resta poi il capitolo delle aziende destinate a proseguire il loro cammino, dove oggi operano almeno 6mila amministra­tori. Molto dipende ovviamente da quanto in alto saranno fissati i parametri del decreto di Palazzo Chigi che deve indicare i casi in cui il cda non sarà costretto a lasciare il passo all’amministra­tore unico: sul punto è facile immaginare un serrato tira e molla fra la spinta del governo a dare segnali «tagliapolt­rone» e le resistenze in nome della governance.

DOPPIA MOSSA Oltre alla chiusura delle società fuori regola è previsto l’alleggerim­ento degli organi di governo in base al principio dell’amministra­tore unico

IN «BUSTA PAGA» Attesi entro un mese i nuovi parametri che limitano indennità e compensi in base a dimension e e risultati di bilancio dell’azienda

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