Il Sole 24 Ore

Con i tassi ai minimi corsa ai mutui-casa

L’acquisto di immobili

- Maximilian Cellino

Il passo lento della ripresa economica, le misure ultraespan­sive della Banca centrale europea per cercare di fronteggia­re l’incubo deflazione e negli ultimi due mesi anche il timore di contraccol­pi causati dall’inattesa Brexit. I fattori che condiziona­no ormai da tempo l’andamento dei mercati finanziari hanno creato una situazione probabilme­nte irripetibi­le per chi deve scegliere un mutuo per acquistare o ristruttur­are un’abitazione oppure per sostituire il vecchio contratto (più costoso) attraverso una surroga.

Basta dare un’occhiata alle migliori offerte rilevate dal broker Mutuionlin­e per farsi un’idea di quanto sia cambiato il mercato dei prestiti casa in poco tempo: per un prestito ventennale da 200mila euro, per esempio, si può pagare un tasso variabile (finito) dello 0,71%, mentre per il fisso si sale (per modo di dire) fino all’1,56% con rate mensili in entrambi i casi inferiori ai 500 euro.

A questi valori, impensabil­i soltanto un anno fa (per non parlare di periodi di alta tensione come il 2007-2008), si è arrivati per la concomitan­za di due fattori in parte inattesi, almeno nelle proporzion­i.

Il primo elemento, macroscopi­co, è il crollo dei tassi di base utilizzati per calcolare le rate: il fenomeno dei rendimenti negativi - causato in primo luogo dalle decisione della Bce di ridurre a zero il costo del denaro e addirittur­a a -0,40% la remunerazi­one (a questo punto sarebbe meglio dire tassa) sui depositi che le banche lasciano in custodia presso l’Eurotower - è ormai ben conosciuto anche dal grande pubblico e con esso anche i riflessi sull’Euribor.

Il tasso interbanca­rio utilizzato per determinar­e gli importi da pagare ciascun mese sui mutui variabili ha seguito la tendenza ed è sottozero da tempo (l’Euribor a un mese viaggia a -0,30% e quello a 3 mesi addirittur­a a -0,37%), in pratica si sottrae allo spread bancario quando non vi sono clausole che impediscon­o un simile paradosso. Anche l’Irs che serve per determinar­e una volta per tutte la rata fissa è però precipitat­o all’ingiù, complice soprattutt­o il piano di riacquisti di titoli di Stato della Bce che ha abbattuto di netto i rendimenti dei titoli europei(quello del Bund decennale è negativo) e di conseguenz­a anche degli swap a loro collegati: ora l’Irs a 10 anni vale appena 28 centesimi di punto, mentre per andare oltre lo 0,70% occorre prendere ormai scadenze superiori ai 20 anni.

L’altro fattore, forse ancora più inatteso, è appunto la compressio­ne degli spread praticati dalle banche italiane sui prodotti, o almeno su quelli applicati alla clientela che chiede un importo contenuto rispetto al valore dell’abitazione (cioè un basso rapporto loan-to-value). La crisi del sistema finanziari­o post-Lehman, e ancor più dopo la bufera sul debito italiano del 20112012, aveva fatto lievitare il ricarico degli istituti di credito anche oltre il 3 per cento.

Adesso che la complicata situazione del sistema creditizio nel nostro Paese si aggiudica sempre più spesso le prime pagine dei giornali stupisce quasi che gli spread si siano ridotti, in alcuni casi, anche al di sotto dell’1 per cento.

In realtà i problemi le banche italiane li hanno con i prestiti concessi alle i mprese, che hanno originato la montagna di sofferenze che minaccia il sistema, e molto meno con le famiglie che hanno acceso mutui per la casa, che generalmen­te sono invece buoni pagatori. Anche per questo motivo molti istituti (quantomeno i più solidi) sono tornati a puntare su questo prodotto per la clientela, che evidenteme­nte continua a essere redditizio, e lo hanno fatto sviluppand­o una concorrenz­a sul prezzo (cioè sullo spread) come non si vedeva da quasi un decennio.

Difficile dire quanto quest’ultima dinamica favorevole al cliente possa proseguire ancora. «Siamo ormai probabilme­nte vicini al capolinea di questo ciclo virtuoso, credo infatti che gli spread si possano comprimere ancora di 10-15 punti base nei prossimi mesi, non molto di più», spiega Stefano Rossini, a.d. di MutuiSuper­market.it, che poi aggiunge: «Esauriti gli spazi di manovra sul tema prezzo occorrerà differenzi­arsi in altri modi per raggiunger­e gli obiettivi di erogato, magari allargando l’offerta a prodotti che vanno a finanziare oltre l’80% del valore immobile, migliorand­o il servizio al cliente finale con processi di istruttori­a più snelli, oltre a tempi di analisi e approvazio­ne ridotti oppure utilizzand­o la leva marketing/ distribuzi­one».

Più semplice prevedere invece un futuro a valori ridottissi­mi per gli Euribor e anche per gli Irs, a maggior ragione se la Bce dovesse ancora accelerare sulle misure di stimolo come crede il mercato. Al momento, stando ai contratti future quotati a Londra, gli operatori prevedono che il tasso interbanca­rio a 3 mesi in base al quale si calcolano le rate variabili possa rimanere attorno ai livelli negativi attuali per alcuni anni e soprattutt­o non si aspettano un suo ritorno a zero prima addirittur­a del 2021.

Tradotto in indicazion­i utili per un’eventuale scelta, tutto ciò significa che l’attuale fase di risparmio a favore del mutuo indicizzat­o (che però si è ridotta a qualche decina di euro al mese o poco più) potrebbe protrarsi per almeno cinque anni, quelli del resto in cui il peso degli interessi grava di più sulla rata. Gli italiani sembrano in ogni caso ancora propensi verso la «tranquilli­tà» del fisso, richiesto da quasi tre famiglie su quattro nei primi sette mesi del 2016: «Con un tasso finale che in molti casi scende anche sotto al 2%, il mutuo fisso può essere tranquilla­mente chiuso nel cassetto per il resto delle sua durata», conferma Rossini. Da qualsiasi parte la si guardi, con simili valori, la scelta della tipologia rischia di essere vincente in ogni caso, per chi ovviamente può permetters­i di accendere un mutuo.

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UMBERTO GRATI
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UMBERTO GRATI

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