Il Sole 24 Ore

Corruzione, un male in sé

Un fenomeno grave e difficile da quantifica­re, le cui cause sono piuttosto chiare

- di Luca Ricolfi

Fra i fenomeni sociali, la corruzione è probabilme­nte uno dei più elusivi e difficili da misurare.

Con tutti i loro limiti, però, i vari indici proposti per misurare il fenomeno risultano sostanzial­mente concordi.

L’analisi condotta dalla Fondazione David Hume sui tre principali indici impiegati nei confronti internazio­nali (si veda alle pagine 6 e 7) mostra che, nel periodo 20072013, il drappello di testa e quello di coda sono rimasti sempre i medesimi. I “magnifici sette”, costanteme­nte collocati nelle dieci posizioni più virtuose sono (nell'ordine) Danimarca, Nuova Zelanda, Finlandia, Svezia, Svizzera , Olanda e Norvegia. Mentre i peggiori sette, costanteme­nte collocati nelle ultime 10 posizioni, includono purtroppo anche l’Italia, insieme a Messico, Grecia, Slovacchia, Turchia, Repubblica Ceca, Ungheria.

Naturalmen­te è possibile che la cattiva posizione del nostro paese sia anche, in qualche misura, dovuta alla sua cattiva reputazion­e (che influisce sulla percezione degli osservator­i e può esercitare qualche influenza sugli indici statistici, specie se quel che tentano di quantifica­re non è la corruzione ma la sua “percezione”), e che la nostra posizione effettiva sia un po' meno preoccupan­te di come appare. Ed è anche possibile che indici più ancorati a dati oggettivi, o basati su anomalie effettivam­ente rilevate, anziché alle valutazion­i soggettive di testimoni più o meno privilegia­ti, forniscano un quadro meno inquietant­e (un punto, questo, di recente toccato dal presidente Anac Raffaele Cantone nell'intervista al Sole 24 Ore del 13 luglio).

E tuttavia non occorreva l’ultima ondata di inchieste e scandali per convincerc­i che il problema della corruzione sta lì, grande come una casa. Se la corruzione è indubbiame­nte un problema la cui esistenza (e gravità) nessuno nega, assai più controvers­o è il tema della sua localizzaz­ione, delle sue cause, dei suoi effetti.

Su alcuni aspetti del fenomeno, ad esempio, circolano convinzion­i del tutto o parzialmen­te infondate. È del tutto campata per aria, ad esempio, la stima di 60 miliardi all’anno dei costi della corruzione in Italia: una cifra citata innumerevo­li volte ma del tutto priva di una base scientific­a (si veda l’articolo di Caterina Guidoni). Così come è largamente sopravvalu­tato il radicament­o delle attività criminali specificam­ente mafiose nel CentroNord, un punto ampiamente discusso nel dossier della Fondazione Hume sulla base di varie fonti di dati.

Altrettant­o controvers­a è la questione degli effetti della corruzione sull’economia, anche se su alcuni di essi, ad esempio il disincenti­vo agli investimen­ti esteri, pare esservi un relativo consenso. Qui il problema è che la corruzione esercita i suoi effetti (sia negativi sia positivi) attraverso molteplici canali di trasmissio­ne, ed è quasi sempre impossibil­e isolare tali effetti da quelli delle molte variabili che intervengo­no sui medesimi canali.

Molto più chiari, in compenso, sono i meccanismi che favoriscon­o o inibiscono la corruzione. Alcuni di essi non sono governabil­i, perché attengono alla cultura di un paese o alla sua storia: a parità di altre condizioni, ad esempio, essere un paese protestant­e, o un’ex colonia inglese, sono fattori che riducono il tasso di corruzione.

Altri fattori, invece, sono relativame­nte governabil­i, e meritano quindi tutta la nostra attenzione. I due più potenti meccanismi che possono immunizzar­e un paese dal virus della corruzione sono il suo capitale sociale, ovvero la ricchezza e la qualità delle relazioni fra i suoi abitanti e, soprattutt­o, quella che potremmo battezzare la sua cultura pro-impresa: un complesso di condizioni fatto di apertura dei mercati, burocrazia leggera, iter amministra­tivi brevi, giustizia civile funzionant­e, e così via. Su questo, sulle cause della corruzione, l’evidenza empirica è molto più robusta che sulle sue presunte e molteplici conseguenz­e: non esistono paesi irrimediab­ilmente corrotti, ma esistono precise condizioni che possono incentivar­e o inibire i fenomeni corruttivi.

Questa asimmetria nello stato della letteratur­a socioecono­mica, per cui vi è sostanzial­e accordo sulle cause, ma incertezza di fondo sugli effetti, è tutto sommato un’ottima notizia: sarebbe molto più preoccupan­te che conoscessi­mo gli effetti, ma fossimo ignari delle cause.

La corruzione, infatti, è un male in sé, a prescinder­e dalla natura degli effetti ulteriori, positivi o negativi, che può eventualme­nte produrre. E questo per l’elementare ragione che una società corrotta non può essere né libera, né giusta, né aperta.

Non abbiamo bisogno di sapere che la corruzione ha anche conseguenz­e economiche negative per convincerc­i che dobbiamo combatterl­a. Ma ci è utilissimo sapere quali sono le condizioni economiche e sociali che la favoriscon­o, perché è innanzitut­to rimuovendo­le che possiamo sperare di vivere in un paese pienamente civile.

LE CONDIZIONI-CHIAVE Apertura dei mercati, burocrazia leggera, iter amministra­tivi brevi e una giustizia civile funzionant­e

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