La staffetta della liquidità Fed-Bce
St affetta o doppietta nella politica monetaria mondiale? Ovvero: La Federal Reserve aumenterà in modo significativo i tassi di interesse da qui a dicembre, oppure continuerà a guidare il plotone delle banche centrali dei paesi avanzati – Unione europea, Giappone, Regno Unito, ma anche Paesi scandinavi e Svizzera – impegnate nelle ultra espansioni monetarie (Qe)? La risposta è no.
L’attuale status quo monetario è la scelta più conveniente per i banchieri centrali, perché è la scelta meno rischiosa per mantenere consenso e reputazione presso la politica ed i mercati finanziari. Il Qe è una sbronza senza conseguenze per nessuno. Per ora.
La pubblicazione dei verbali dell’ultima riunione del consiglio della Fed ha suscitato il solito fuoco di paglia su quelle che saranno le decisioni della banca centrale americana nei prossimi mesi. È un fuoco, perché i mercati finanziari hanno oramai una dimensione ed una sensibilità ipertrofica: la loro fame di notizie rilevanti è quotidiana e non saturabile, per cui un evento istituzionale come quello della ufficializzazione del dibattito interno alla più importante banca centrale mondiale è l'ideale per far oscillare i prezzi. Ma è di paglia, perché nessuno può davvero pensare che nei prossimi mesi la Fed compia davvero una inversione a U nella sua politica monetaria. Qualche decimo di punto da qui a Natale – se mai si verificherà – non modificherà certo l’atteggiamento ultra accomodante che caratterizza le banche centrali sopra ricordate. Per una ragione molto semplice: conviene.
Dal 2008 ad oggi – almeno nei paesi avanzati – nelle decisioni di politica monetaria si è consolidato uno status quo: i tassi di interesse devono essere bassi, l’immissione di liquidità abbondante. Abbandonare lo status quo può essere molto costoso. Per più di una ragione. Innanzitutto, ragioni economiche: la Grande Recessione è stata un evento unico dal secondo dopoguerra, la cui portata ha accentuato la rilevanza di un quesito macroeconomico cruciale: qual è il livello della produttività, quindi dei rendimenti reale? I banchieri centrali – e per la verità non solo loro – sostengono che stiamo assistendo a una caduta tendenziale di produttività e redditività, che è indipendente dalla politica monetaria. Per cui lo status quo è un effetto, e non una causa, di una bassa dinamicità dell’economia reale, accentuata dall’incertezza.
Ma attenzione: vi è una corrente di pensiero alternativa, che sostiene che il ristagno economico è anche effetto della incapacità delle banche centrali di riportare i tassi di interessi su un sentiero di normalità. Le banche centrali risulterebbero poco credibili come propulsori di una ripresa dei prezzi e della produzione. Per aumentare la credibilità, le ricette proposte però sono opposte: i cosiddetti falchi gradirebbero uno stabile ritorno a politiche non accomodanti, mentre le cosiddette colombe propongono una ulteriore radicalizzazione della espansione monetaria: innalzamento degli obiettivi inflazionistici, abolizione dei limiti agli acquisti di titoli pubblici, assoluta discrezionalità dei modi e dei tempi della creazione di liquidità, incluse quelle irreversibili (l'elicottero monetario).
Tirando le somme: tre diverse indicazioni di politica monetaria, di cui due consigliano come minimo di mantenere l’atteggiamento accondiscendente. Per cui, il miracolo si compie: prima della crisi, nei consigli delle banche centrali si fronteggiavano falchi e colombe. Oggi prevalgono i cosiddetti piccioni, vale a dire quelli che votano per mantenere, o rafforzare, lo status quo.
La prova più recente? Proprio la discussione interna della Fed. Tutti sono d'accordo almeno su una cosa: aspettare altri dati. Quali? Non è dato di saperlo. Si noti che in questi mesi alcune delle fonti di incertezza più citate nei precedenti verbali – il mercato del lavoro, la Brexit – sono svanite o sono, almeno, fortemente ridimensionate. Eppure, all'unanimità si preferisce aspettare.
Perché le motivazioni psicologiche fortificano lo status quo. Se il banchiere centrale è convinto che la scelta migliore sia mantenere o rafforzare l'espansione monetaria, anche la rilevanza delle informazioni disponibili ne risulterà condizionata: verrà dato maggiore risalto alle informazioni che suffragano la tesi dello status quo, e relativamente trascurate le altre. Si chiamano “credenze motivate”. Le studiano gli psicologi, ma adesso anche gli economisti. Le credenze motivate possono condizionare i comportamenti di tutti, inclusi i banchieri centrali.
Infine, anche le motivazioni politiche rafforzano lo status quo. L’abbondante liquidità piace innanzitutto ai politici. La politica monetaria espansiva consente alla politica di “comprare tempo”, in attesa di raggiungere il necessario consenso per definire e avviare le altre politiche economiche, dalle fiscali alle strutturali. Purtroppo non è ancora evidente se il “comprar tempo” aumenti o riduca le probabilità che le altre politiche vengano poi effettivamente concordate, visto il naturale orizzonte corto del politico. Inoltre l’abbondante liquidità piace agli altri soggetti oramai miopi per eccellenza, cioè i mercati finanziari.
Insomma, la sbornia di liquidità piace a tutti. Perché i danni non si percepiscono. Almeno per ora.