Flessibilità Ue decisiva per la manovra Si riparte da investimenti e produttività
In settimana primo Cdm dopo la pausa - Ma sulla dote della manovra pesa l’incognita flessibilità europea
Conquistare in Europa spazi di deficit a beneficio della competitività sarà decisivo per concretizzare con misure fiscali il nuovo piano “Industria 4.0” (si veda Il Sole 24 Ore del 24 luglio) e irrobustire il programma “Finanza per la crescita” lanciato nel 2014. In cantiere c’è innanzitutto, oltre alla revisione degli incentivi fiscali alla crescita economica( Ace ), la proroga del super ammortamento al 140% sui beni strumentali acquistati dalle aziende . Non solo, ci sarebbe in vista anche una sorta di maxi-ammortamento, con coefficiente innalzato oltre il 200% su beni funzionali alla digitalizzazione delle imprese, cuore della trasformazione manifatturiera verso la cosiddetta era 4.0. Nel paniere potrebbero rientrare software e non solo: un gruppo di lavoro sta censendo i beni agevolabili. Anche la Cassa depositi e prestiti ha presentato alcune proposte in chiave Industria 4.0: bandi specifici a valere sul Fri (Fondo rotativo per gli investimenti delle imprese) e un plafond per le banche che finanziano le imprese, sul modello della “Nuova Sabatini”.
Di tutto questo si ricomincerà a parlare dalla prossima settimana, quando la ripresa dell’attività governativa passerà anche da un consiglio dei ministri per il varo di nuovi capitoli attuativi della riforma della Pa su dirigenza, camere di commercio ed enti di ricerca.
Molto altro, sulla carta, si potrebbe fare se nell’esecutivo, in vista della legge di bilancio o di un eventuale provvedimento collegato per la crescita, prevarrà l’idea di concentrare le risorse sulle misure per gli investimenti privati anche a rischio di alleggerire il plafond per misure di carattere sociale a partire dal pacchetto pensioni. Il ministero dello Sviluppo, ad esempio, spingerà per il rafforzamento del credito d’imposta per gli investimenti in ricerca e sviluppo, passando pos- sibilmente da un “bonus” sugli incrementi di spesa a uno sul volume totale, e per il rifinanziamento del Fondo di garanzia Pmi che, vista anche l’imminente riforma delle regole di accesso delle imprese, rischia di restare senza risorse nel 2017.
Il team interministeriale che lavora al programma «Finanza per la crescita» confida inoltre di sbloccare in autunno almeno le principali misure di quello che qualche mese fa era stato immaginato come un nuovo decreto competitività. Resta forte l’idea dei Pir (piani individuali di risparmio): i risparmiatori che scelgono un investimento stabile (almeno cinque anni) in strumenti finanziari destinati alle imprese potrebbero beneficiare di un’esenzione fiscale sui capital gain. Così come è pronta la norma per gli sgravi fiscali alle cosiddette “aziende-sponsor”, ovvero società quotate che investono in startup per sostenerle nelle fasi di consolidamento.
Il capitolo parallelo è rappresentato dalle misure per rilanciare le risorse umane e la loro produttività. Su questo fronte, ha buone chance di salire sul treno della prossima manovra di Bilancio l’ulteriore proroga della decontribuzione per i nuovi contratti a tempo indeterminato. I tecnici di palazzo Chigi sono impegnati nelle simulazioni: l’idea è di mantenere lo sgravio anche per il 2017, ma con un ulteriore decalage. L’incentivo iniziale, valido per tutto il 2015, è stato pieno: durava tre anni fino a 8.060 euro l’anno; quest’anno è stato portato al 40%, con una durata biennale e fino a 3.250 euro l’anno. Per il 2017 l’ipotesi più gettonata è uno sgravio annuale, valido cioè per le sole assunzioni a tempo indeterminato nel 2017. Sull’entità del “bonus”, invece, le due opzioni più forti sono il mantenimento dell’incentivo al 40% (fino a 3.250 euro l’anno) o una riduzione intorno al 20%, pari a circa 1.600 euro per il 2017. La conferma dell’attuale sgravio costerebbe circa 800 milioni. Con l’asticella al 20% la spesa si dimezzerebbe.
In pole position c’è anche il rafforzamento della tassazione agevolata (aliquota al 10%) sui premi di risultato legati alla contrattazione di secondo livello in funzione di un incremento della produttività. Qui l’ipotesi è passare dagli attuali 2mila euro (2.500 in caso di coinvolgimento paritetico nell’organizzazione del lavoro) a 3-4mila euro di bonus, coinvolgendo anche quadri e una fetta della dirigenza non apicale, con l’allargamento del limite di reddito dai 50mila euro oggi in vigore a 70-80mila euro lordi annui. Alzando al massimo l’asticella a 4mila euro di bonus e ipotizzando una platea con redditi fino a 7080mila euro, l’esborso aggiuntivo, secondo le prime stime del governo, si aggirerebbe intorno ai 350370 milioni di euro. L’operazione sarebbe accompagnata da una rivisitazione delle materie oggetto del welfare contrattuale aziendale che oggi beneficiano della completa esenzione fiscale, per restringere il campo essenzialmente a salute, previdenza e istruzione.
Possibili novità anche sul fronte dell’ecobonus: si sta studiando l’allargamento a condomini e immobili Pa dell’utilizzo degli sgravi fiscali del 65%.
Accanto alle iniziative private, il versante degli investimenti pubblici punta più sul piano operativo che su quello normativo. Da questo punto di vista, l’obiettivo è di accelerare realizzazioni e nuovi programmi anche grazie all’assicurazione sulle risorse di cassa da parte dell’Economia.
DIRIGENZA PUBBLICA Atteso al prossimo Consiglio dei ministri il varo di nuovi capitoli attuativi della riforma Pa tra cui quello relativo ai vertici delle amministrazioni