L’etica dell’«homo citans»
Con un saggio dalle dimensioni inusitate uscito su «Angewandte Chemie», Homo citans e gli allotropi del carbonio. Per un’etica della citazione, i chimici Roald Hoffmann, Davide Proserpio e due giovani colleghi russi intervengono nella discussione sull’affidabilità delle pubblicazioni che, all’epoca del pubblicare o perire, non smette di agitare editori, autori, e revisori. Tutti deprecano l’influenza smisurata del citation index e dell’associato “fattore d’impatto” delle riviste scientifiche, due misure che risultano da un incastro di algoritmi, banche dati e altre proprietà intellettuali che tre settimane fa Thomson Reuters ha deciso di vendere per 3,5 miliardi di dollari a Onex e Baring Asia, un fondo di investimento cinese.
Gli amministratori degli enti di ricerca le usano come scorciatoie per valutare la validità di un candidato o di una richiesta di finanziamenti, e decidere carriere. Ricercatori di dubbia integrità ed editori “predoni” le gonfiano con vari trucchi, e se non ne sono capaci, servizi prevalentemente cinesi e indiani provvedono dietro compenso. Eppure, scrivono i due chimici in un sunto del loro saggio che hanno adattato per i nostri lettori, «noi si cita e si deve citare», per entrare nel mondo comune del pensiero, della cultura, per risparmiare tempo e doppioni. E per ragioni meno strumentali e interessate che forse andrebbero condivise da tutti, politici, letterati, cronisti (omissis) e scrittori della domenica
Fare calcoli di chimica quantistica è oggi una routine, ed è molto più facile che condurre esperimenti. Ergo, centinaia di articoli dedicati a strutture ipotetiche tridimensionali del carbonio elementare (delle quali conosciamo il diamante e la grafite) proliferano nella letteratura scientifica. Questi articoli proclamano enfaticamente i propri meriti, primo fra tutti la “novità”. Eppure metà di quelle strutture, pur belle che siano, sono già state pubblicate, all’insaputa degli autori, non per malizia, ma solo per pigrizia.
Questo è il triste risultato di una indagine condotta da uno degli autori (DMP), che, grazie all’aiuto di validi collaboratori russi, ha messo a punto uno strumento online, SACADA (sacada.sctms.ru), che raccoglie e confronta le strutture ipotetiche degli allotropi del carbonio.
«Siamo come nani assisi sulle spalle dei giganti, cosicché possiamo vedere più cose e più lontano di loro, non perché abbiamo una vista più acuta o altra particolarità fisiologica, ma poiché siamo sollevati più in alto dalla loro mole gigantesca.»
In un classico di erudizione divertente e saggia, Sulle spalle dei giganti. Poscritto shandiano (Il Mulino), Robert Merton fa risalire le origini dell’aforisma che racchiude tutta l’importanza delle citazioni a Bernardo di Chartres, ottocento anni fa. Merton segue la traccia di svariati scrittori e luminari della scienza che ne hanno citato la fonte erroneamente, che non l’hanno citata o che hanno cercato di far passare l’aforisma per farina del loro sacco.
Noi si cita, e si deve citare. Come in una prima lista compilata negli anni Sessata da Eugene Garfield, fondatore della bibliometria e dell’Institute for Scientific Information di Filadelfia, lo facciamo
per continuare la tradizione accademica, per mostrare che siamo anelli in una catena di persone che rispettiamo e a cui facciamo riferimento. Anche se la scienza moderna si è votata al culto del “nuovo”, per noi la storia continua ad avere valore.
Per pura utilità; altri ci hanno fornito strumenti, dati, un sapere pregresso, e le conoscenze devono essere condivise. Le citazioni ci consentono di essere concisi e di minimizzare la duplicazione di risultati già raggiunti.
Perché desideriamo affermare la nostra credibilità professionale e parte del processo sta nel mostrare che sappiamo quanto è stato fatto in precedenza nel nostro campo di ricerca.
E in modo meno materiale, ma non meno importante, citiamo perché:
la nostra pretesa di novità convincerà solamente se è basata su un attento bilancio di ciò che c’è stato prima di noi. Le citazioni ci aiutano a controllare “l’angoscia dell’influenza”, per dirla con Harold Bloom. Ci preoccupa davvero l’originalità della nostra creazione.
Le citazioni connettono il mondo, il nostro lavoro e quello degli altri. Diventiamo una comunità che attraversa le nazioni, un ponte tra ciò che ci divide. E…
Per un senso di giustizia. Può sembrare un criterio antiquato, ma dove saremmo senza di esso?
Robert Merton chiamava le citazioni la “moneta della scienza”, un altro modo di dirlo ci è stato suggerito da Mario Biagioli, l’autore di Galileo cortigiano (Einaudi) che
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all’Università della California, a Davis, dirige il Centro per gli studi scientifici e l’innovazione: la scienza è un bene comune, le citazioni sono la tassa da pagare per far parte della sua meravigliosa economia.
In un saggio piuttosto lungo su Angewandte Chemie, approfondiamo le ragioni del citare, esaminiamo cosa dicono le nostre riviste e società scientifiche, entriamo nel dettaglio di due casi in cui le citazioni sono state particolarmente scarse, e proviamo a spiegare come andava fatta una buona ricerca delle fonti . Diamo alcuni suggerimenti su come comportarsi nel malcapitato caso in cui ci fossimo dimenticati di segnalare un riferimento importante, e l’autore offeso ce l’abbia fatto notare.
Uno dei due casi di amnesia da noi esaminato riguarda queste due reti: 4-c 3.65-npo 4-c 4.65-crb Il primo, npo, è stato descritto come modello di un ipotetico composto di solo carbonio nel 2012, 2003, 1999, 1977 ma si può rintracciare a ritroso fino a un articolo di Heesh e Laves nel 1933. Il secondo, crb, è stato proposto nel 1988, ma era già presente nelle pubblicazioni di A.F. Wells, nel 1954. Alla fin fine la sua storia racconta una concatenazione che in tre decenni raggiunge quasi la complessità degli otto secoli accumulati dall’aforisma di Merton.
Come è potuto succedere, quando tutti dispongono di computer sempre più potenti e di strategici, arguti motori di ricerca come Google Scholar, SciFinder, the Web of Science, Scopus, che il processo di citazione sia fallito ripetutamente e queste strutture siano state descritte come nuove quando in effetti non lo erano? È troppo facile accusare una mancanza di educazione nell’arte della ricerca bibliografica, che nondimeno deve essere insegnata ai tempi di SciFinder così come lo era ai tempi dei Chemical Abstracts accumulati sui nostri scaffali.
Pensiamo che entri in gioco un fattore psicologico più complesso, derivante dall’interazione uomo-macchina: vediamo il potere dei computer nei calcoli ma anche nell’organizzare liste e testi. Ci lasciamo cullare dall’efficienza delle macchine e dimentichiamo che se immettiamo spazzatura - la «Chi osa...».
«Colui che un tempo insultavate, chiamandolo amico».
Impietrito, il Barbarossa abbassò lo sguardo per osservare la mano che gli premeva la daga alla gola. «Leone Strozzi».
«Una lieve pressione», sussurrò il cavaliere di Malta, «e otterrò il plauso della cristianità tutta».
«Oh, vi proclamerebbero santo», motteggiò il diavolo turco, ritrovando il suo tono glaciale. «Santo martire, per l’esattezza. Dacché non uscireste vivo di qui».
«Ho cinque uomini nascosti all’ingresso. Nel caso giungessero soccorsi, mi darebbero comunque il tempo di uccidervi». «E lo fareste?». Il cavaliere di Malta tardò a rispondere. «Non è la gloria che cerco, bensì la vendetta». «Mesi fa promisi di aiutarvi a conseguirla». «Ora non siete più in grado di promettermi nulla. Ciò che mi occorre è nelle mani di Sinan».
Barbarossa tradì un fremito. «Alludete alla reliquia chiamata Rex Deus?»
«Sì. L’esca perfetta per spingere Cosimo I de’ Medici allo scoperto». «Non vi serve. Ci sono altri modi». «Voglio Sinan!», sibilò il fiorentino, premendogli la lama sul collo. «Voglio il Rex Deus!».
«Ebbene, vi dirò dove si trovano...», si arrese il corsaro, madido di sudore. «O almeno dove ritengo si trovino. Ma voi, messere, vi unirete di nuovo alla mia flotta. Secondo i patti, l’ambasciatore di Francia deve seguirmi fino a Costantinopoli». «E voi dovrete far cessare l’assedio». L’ammiraglio turco digrignò i denti, tentando all’improvviso di ribellarsi, ma lo Strozzi lo trattenne ben saldo. «Sta bene, sta bene!», fu costretto a dire, sputando rabbia. «A quanto pare abbiamo un patto!».
«Non del tutto», ribatté. «Manca un’ultima cosa».
I capelli della bella Marsili adornavano a mo’ di fiamma la prua della scialuppa diretta
nostra domanda mal formulata – ne esce spazzatura.
Di per sé il loro potere non basta, nella letteratura infatti quegli allotropi del carbonio c’erano già, e altri ancora, che non menzioniamo per non abusare della pazienza dei lettori. Come si addice al nostro tema, chiudiamo con una citazione di Robert Merton che afferma perché dobbiamo citare correttamente ed equamente:
«La nota bibliografica, il riferimento a una fonte, non è solo una cortesia aggiunta con un ornamento erudito. (Il fatto che possa essere usata, o abusata, in questo modo non ne cambia lo scopo principale.) Il riferimento assolve ad una funzione sia strumentale che simbolica nella trasmissione e nell’accrescimento del sapere. Sul piano strumentale ci fa sapere cose che non sapevamo prima, alcune delle quali potrebbero interessarci in seguito; sul piano simbolico registra in archivi perenni la proprietà intellettuale della fonte, dà una pillola di riconoscimento tra pari alla conoscenza in essa rivendicata, accettata o espressamente rifiutata che sia».
Traduzione di Sylvie Coyaud alla Lionne. Leone Strozzi li accarezzò, per poi lasciarli rapire al vento. Alle sue spalle, il rimbombo dei cannoni era cessato.
«E ora?», disse lei, scrutando l’impavido che l’aveva salvata.
«Ora andremo a caccia di Sinan», rispose lui. «Benché, a detta del Barbarossa, egli sia ormai più una leggenda che un uomo in carne e ossa». «Cosa intendete?» «Sembra che suo padre, Ciafut il Giudeo, abbia nascosto una flotta di sette navi in una cala sconosciuta, tra l’Africa e la Spagna. Secondo Khayr al-D n, Sinan si starebbe dirigendo là. La ricerca sarà lunga e perigliosa, madonna».
Margherita Marsili tornò a fissare le onde. «E non temete un nuovo tradimento del Barbarossa?».
Con uno squarcio di bianco, un sorriso attraversò il volto abbronzato dello Strozzi. «Non finché il mio prezioso ostaggio resterà in vita», disse, pensando al nobiluomo ferito sulla sua nave. «Perché se c’è una persona che il corsaro turco odia più di me è sua grazia, il signore dell’arcipelago toscano». E rise con asprezza. Quell’asprezza che gli aveva insegnato il mare. Questa è l’ultima puntata di un racconto lungo di Marcello Simoni scritto per la Domenica. Simoni, quarantenne di Comacchio, ex archeologo e bibliotecario, ha avuto successo come romanziere d’avventura per Newton Compton. Con l’esordio Il mercante di libri maledetti è rimasto un anno in classifica. L’abbazia dei cento inganni è il suo ultimo romanzo.