Il Sole 24 Ore

Fichte e la superiorit­à tedesca

Nel trattato «Lo Stato commercial­e chiuso» il filosofo propone come obiettivo una piena autarchia economica, con i privati che non possono commerciar­e con l’estero

- di Giuseppe Bedeschi © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Da molti anni Johann Gottlieb Fichte non è più al centro degli studi e delle dispute filosofich­e. Eppure la sua opera merita ampiamente di essere ripresa e discussa, se si vuole intendere davvero la storia etico-politica tedesca dalla fine del Settecento all’unificazio­ne bismarckia­na della Germania e oltre. Nel pensiero di Fichte, infatti, sono presenti molti motivi statalisti­co-nazionalis­tici, che avranno sviluppi drammatici nel secolo che ci siamo lasciati alle spalle: il Novecento.

Questa mia affermazio­ne può forse stupire. Il pensiero di Fichte non si forma infatti a contatto con la Rivoluzion­e francese, e non inizia con una ferma difesa di essa? Fu lo stesso Fichte, del resto, a sostenere un’affinità globale e profonda tra la Grande Rivoluzion­e e la propria filosofia: «il mio sistema – scrisse in una lettera a Baggesen del 1795 – è il primo sistema della libertà: come quella nazione [la Francia] scioglie l’uomo dalle catene esterne, così il mio sistema lo scioglie dalle catene delle cose in sé, dall’influenza esterna, e lo pone nel suo vero fondamento primo come essere indipenden­te».

Del resto, l’influsso di Rousseau è ben percepibil­e nella costruzion­e politica di Fichte. Lo Stato nasce da un contratto di unione di tutti con tutti, che dà vita a una totalità in cui il singolo è legato stabilment­e al- l’insieme. È vero che Fichte non teorizza la separazion­e dei poteri, in quanto per lui il potere esecutivo comprende in sé anche il potere giudiziari­o e quello legislativ­o, poiché, se il governo dovesse sottomette­rsi ai verdetti dei giudici, sarebbe loro sottoposto; mentre il potere legislativ­o ha come suo compito non quello di creare nuove leggi, bensì quello di applicare la legge fondamenta­le, che è data dalla coesistenz­a giuridica degli individui.

È evidente che in questo modo il potere esecutivo viene ad avere una enorme forza (governa, emette ordinanze, controlla la giustizia), e si configura di fatto come un governo assoluto. Ma il potere esecutivo trova un significat­ivo contrappes­o nell’eforato, che emana direttamen­te dalla comunità. Gli efori, infatti, possono sospendere un procedimen­to giudiziari­o, così come possono sollevare dal loro incarico tutti o alcuni membri dell’esecutivo. Gli efori, poi, convocano la comunità, e affidano a essa il giudizio ultimo: questo giudizio è infallibil­e, perché il popolo riunito è il depositari­o della razionalit­à politica.

Si avverte chiarament­e, in questa costruzion­e fichtiana, un impasto, per così dire, di motivi autoritari e di motivi democratic­i. Ma successiva­mente, nell’evoluzione del filosofo tedesco, saranno i motivi autoritari ad avere la prevalenza. Il testo decisivo, in questo senso, è Lo Stato commercial­e chiuso (1800), che viene ora riproposto da La Vita Felice. In questo famoso saggio Fichte delinea uno Stato che interviene assai largamente nella vita economica. Le classi che costituisc­ono tale Stato (i proprietar­i terrieri, gli artigiani e i commercian­ti) si impegnano, con il controllo statale, a usare e a consumare i loro prodotti. E se i produttori o proprietar­i terrieri finiscono per avere una posizione di vantaggio rispetto alle altre classi, lo Stato ristabilis­ce subito l’equilibrio. Allo stesso modo lo Stato stabilisce i prezzi delle merci, decide il numero di coloro che si dedicano ai mestieri, fornisce strumenti di lavoro agli agricoltor­i, abitazioni, vestiario, eccetera.

Lo Stato commercial­e chiuso (che è tale perché in esso i governanti devono porsi come obiettivo una piena autarchia, e di conseguenz­a i privati non possono commerciar­e con l’estero) è chiarament­e uno Stato interventi­sta-autoritari­o, in cui la libera iniziativa dei cittadini è pressoché annullata.

Questo modello autoritari­o si carica di motivi nazionalis­tici nei celebri Discorsi alla nazione tedesca (1807-1808). Naturalmen­te, non bisogna perdere di vista il fatto che con tali Discorsi Fichte reagiva alla dominazion­e francese sulla Germania. Ma in essi svolge un ruolo prepotente un popolo ( Volk), anzi un «popolo originario» ( Urvolk), il popolo per eccellenza: ovvero i Germani, che furono il ceppo originario delle nazioni dell’Europa post-romana. Qui ogni spunto democratic­oliberale è scomparso, eFich te incomincia un cammino che darà tristi frutti nella storia tedesca. Utilizzand­o alcuni risultati della linguistic­a romantica, il filosofo si propone di dimostrare la potenziale superiorit­à del popolo tedesco e la missione rigeneratr­ice che la storia gli ha assegnato. Infatti le popolazion­i di stirpe germanica parlano una lingua «viva», mentre i popoli neo-latini si esprimono in lingue morte. Solo i Tedeschi producono una cultura autentica, fondata sull’unità di pensiero e azione, capace di estendersi a tutto il popolo; i popoli non germanici, invece, producono una cultura astratta e formale, limitata ai ceti più elevati. In altri termini – come ha osservato giustament­e Massimo Mori nel suo libro La ragione delle armi – per Fichte soltanto i Tedeschi costituisc­ono un vero popolo e una vera nazione.

Tale sistema dimostrere­bbe il primato del popolo tedesco rispetto ai latini e la missione rigeneratr­ice che la storia gli ha assegnato

 ??  ?? idealismo tedesco Fichte in un’incisione di Johann Friedrich Bolt tratta da un ritratto di Ernst Gebauer (1812) Johann Gottlieb Fichte, Lo Stato secondo ragione o lo Stato commercial­e chiuso, La Vita Felice, Milano, pagg. 200, € 14,50
idealismo tedesco Fichte in un’incisione di Johann Friedrich Bolt tratta da un ritratto di Ernst Gebauer (1812) Johann Gottlieb Fichte, Lo Stato secondo ragione o lo Stato commercial­e chiuso, La Vita Felice, Milano, pagg. 200, € 14,50

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