Un autore singolare e plurale
Universo e mondi. Vorrei usare questa formula, echeggiante un titolo di Giordano Bruno, per identificare il doppio regime fantastico che governa, in concomitanza e in alternativa, tutta l’opera di Goffredo Parise. Non è una tesi da dimostrare, è una semplice evidenza. Sul fronte denominabile “universo” combatte la capacità mostrata da Parise, soprattutto nel Padrone, di costruire una macchina narrativa ossessiva e visionaria perfettamente funzionante e provvista di tutti i suoi componenti, giocati da vero ingegnere letterario e secondo una logica implacabile.
Il padrone è una “favola nera” pubblicata a metà del decennio sessanta, il decennio degli onnipre- senti discorsi su alienazione, reificazione, sistema e dominio del Capitale. Parise trasformò l’ideologia diffusa in una parabola alla Swift, applicando il teorema sociologico del rapporto servo-padrone al romanzo contemporaneo “di denuncia”. La potente intuizione, l’accanimento sadico con cui Parise scrisse quel libro esemplare segnalano che l’autore è abitato da un genio paranoide che gli fa vedere, in senso propriamente visionario, grottesco e parodistico, la realtà come un insieme in cui «tout se tient ». Parise prende un po’ di quel Marx, già di per sé piuttosto parodistico che circolava in quegli anni (secondo cui niente sfugge al Sistema), lo riduce a uno schema ancora più elementare, universale-eterno o fiabesco, e infine lo mescola con una sua propensione per l’altro schema, diciamo darwinistico, secondo cui sopravvive solo il più forte e il più adatto all’ambiente, usando il più debole come un preda da cui succhiare energie e sangue per alimentarsi. Queste operazioni raccapriccianti marxdarwiniane, in cui Parise esprime tutta la sua visione atrabiliare dell’universo bio-antropologico, vengono sceneggiate secondo uno stile che sa di Kafka, o piuttosto di Moravia e di fumetto.
Quando scrive Il padrone, Parise ha perduto il microcosmo della provincia e ha incontrato Milano, capitale aziendale e produttiva. Sono gli anni fra “boom economico” e anticapitalismo radicale in cui Bianciardi scrive La vita agra, Volponi Memoriale e La macchina mondiale, mentre Pasolini si sente già «una forza del passato», comincia a evadere dall’Italia e a compiere sempre più frequenti sopralluoghi cinematografici nel Terzo Mondo di allora, tra Africa e Asia.
Con una costanza e una curiosità maggiori, Parise fa lo stesso. Evade dall’Italia e cerca di sottrarsi all’universo concentrazionario che aveva appena profetizzato in sogno. A rischio della vita, esplora mondi in cui la violenza non è implici- ta e nascosta, ma esplosiva. Dopo il reportage Cara Cina, scrive quelli di Guerre politiche, su Vietnam, Biafra, Laos, Cile.
A questa evasione da reporter Parise ne affianca un’altra, che corrisponde alla sua passione per quei microcosmi in cui ci si può imbattere nella vita di tutti i giorni. Sono i mondi indagati e alfabeticamente collezionati nei Sillabari (1972-82). La semplificazione stilistica attuata qui da Parise fece scalpore e somiglia a un’autoterapia disintossicante. Niente idee, ma atmosfere, luoghi, ore del giorno, gesti, cose, corpi. Si trattava di ricominciare da zero, dall’abc della narrazione breve, del racconto-parabola o del poemetto in prosa.
Secondo alcuni i Sillabari sono il capolavoro di Parise. Non credo che sia così. Il capolavoro di Parise è piuttosto nel salto mortale (e vitale) dal Padrone ai Sillabari, tra universo e mondi, nei raptus della sua predatoria curiosità per le forme di vita, che a volte si consumano in una voracità distruttiva e a volte si liberano in una pluralità iridescente di monadi narrative, ognuna con il suo clima e il suo tipo di luce, aurorale, crepuscolare o meridiana.
Ancora più che nei Sillabari, questi microcosmi vitali in cui l’universo si frammenta ed esige il massimo di intensità percettiva e descrittiva, popolano libri solo in apparenza secondari come Quando la fantasia ballava il “boogie” e Lontano, raccolte di saggi e di elzeviri curate da Silvio Perrella. Libri che Parise non ha mai scritto, che si sono formati per accumulo, senza programma, afferrando intuizioni estemporanee e frammenti di memorie. Rispondono alla stessa ispirazione dei Sillabari, ma invece di procedere secondo una regola si semplificazione terapeutica e polemica, seguono l’istinto opposto: complicano, infoltiscono, ramificano e focalizzano le percezioni creando effetti di vertigine labirintica. Nel piccolo, nel semplice e nel singolare Parise trova l’inesauribile, oltre che l’irripetibile.
È soprattutto negli artisti che Parise incontra le monadi più memorabili. Gli artisti e la loro assoluta singolarità lo ipnotizzano. Nella descrizione del loro corporeo modo di essere Parise sprofonda. Stravinskij visto a diciannove anni al cimitero di San Michele a Venezia, De Pisis che dipinge in gondola, Comisso dotato di un corpo ubbidiente alla natura come quello di un ortaggio o di un bruco. Per Parise i veri artisti, con la naturalezza della loro produttività e la loro unicità reattiva e autodifensiva garantiscono come nessun altro la biodi- versità umana. Montale è descritto come una creatura marina, Gadda nella fisiologica lentezza del suo modo di camminare, Marilyn Monroe che «era un unicum, si sarebbe detto organico», con il suo odore «tra lo zolfo e una capretta di latte».
Nelle mani di Parise la caccia alla realtà diventa ricerca di singolarità, anomalie, anacronismi, momenti in cui la materia vivente entra in vibrazione e rivela un aldilà della materia. È questa la sua lotta letteraria contro l’idolatria delle idee e anche dell’idea unificante e generalizzante di realtà.
Di qualunque arte parli, la parola chiave di Parise è “stile”, accompagnata da “inutilità” o più raramente da un termine impegnativo come “metafisica”: che però diventa ovvio quando si tratta di De Chirico e di Savino. Stile, biologismo e metafisica rivendicano il fatto che non tutto è storia. L’arte e gli artisti esistono fra storia e natura. Soprattutto quando non sono di moda e sembrano fuori tempo, i prodotti dell’arte suggeriscono la misura della loro grandezza. L’ « inutile beauté »e l’attenzione che la riconosce sono valori incalcolabili che sfuggono a ogni ordine e a ogni potere. La sola fede di Parise è stata questa.