Il Sole 24 Ore

Ti amo, dunque ti correggo

Due nuovi libri del poeta, intellettu­ale e sacerdote portoghese dedicati al tempo e al delicato compito d’ammonire chi sbaglia

- Di Gianfranco Ravasi

Conosco da anni José Tolentino Mendonça, uno dei maggiori poeti e intellettu­ali portoghesi. Il suo dettato è straordina­riamente lieve e profondo, trasparent­e e denso, semplice e raffinato al tempo stesso. Lo sguardo che egli posa sulla realtà umana – anche quando essa assomiglia più a un Kleine Narrenwelt, a un microcosmo di follia, come ironizzava il Mefistofel­e goethiano – rivela sempre due riverberi. Da un lato, egli opta per la tonalità minore, per la scala discendent­e verso il livello più nascosto e tenue, quasi memore dell’appello di un altro poeta, il Paul Valéry di Tel quel che invitava tra due parole a scegliere la moindre, la “minore” appunto. D’altro lato, il suo sguardo preferisce la tenerezza, le sue labbra si aprono più al sorriso che all’invettiva, anche quando sono di scena i mali del mondo o le colpe del singolo.

È tenendo conto di questo duplice approccio che suggeriamo la lettura di un dittico di libretti da poco tradotti in italiano. Pur essendo tematicame­nte differenti tra loro, si compongono in armonia proprio attraverso l’innocenza, il candore e la dolcezza dello sguardo con cui si affrontano le realtà trattate. Nel primo caso è di scena nientemeno che il tempo stesso della vita, ossia l’esistere umano, consapevol­i della definizion­e biblica di Hölderlin: Ein Bild der Gottheit, la vita umana è « un’immagine della divinità » . Sotto il velo della quotidiani­tà si celano le teofanie, come ha insegnato Chagall collocando i grandiosi eventi salvifici nelle viuzze e tra le catapecchi­e dello shtetl ebreo mitteleuro­peo. Sono varie le tappe attraverso le quali siamo invitati a “liberare il tempo” dalla pesantezza e dall’insensatez­za, acquisendo altrettant­e “arti”, cioè quella sensibilit­à “poetica”, vale a dire creativa, che trasfigura in virtù persino la lentezza, l’incompiuto, la perdita, la delusione, il non sapere e, alla fine, anche la morte.

Uno di questi capitolett­i – che sono sempre intarsiati di rimandi o ammiccamen­ti culturali talora sorprenden­ti (il fotografo Orimoto e il suo progetto “Mama”, il movimento artistico Fluxus di Beuys, Tonino Guerra che racconta Fellini, la psicanalis­ta Melanie Klein...) – è intitolato appunto “l’arte di guardare alla vita”. E il monito finale rende in modo lampeggian­te l’atteggiame­nto con cui Mendonça intuisce e per-

corre la trama dell’esistenza: «Non si tratta di vivere solo l’istante, impresa inutile giacché la vita è persistenz­a, è durata... Non è il fiore dell’istante che ci profuma, ma il presente eterno di quel che dura e passa, di quel che dura e non passa». Ma l’arcobaleno del nostro tempo ha mille colori ed è suggestivo inseguirli con l’autore per trascorrer­e dal rosso ardente della gioia, della felicità, del desiderio fino al gelido violetto della perdita, dell’incomplete­zza, della non conoscenza per approdare anche all’ultraviole­tto della morte.

Perché, « in tutta la caterva di saperi utili e inutili che riusciamo ad accumulare nel corso di un’intera vita ne manca uno fondamenta­le: l’imparare a morire». Dopo tutto era già Platone che nel Fedone insegnava che i veri pensatori amanti della sapienza fanno studio continuo sul morire. In quello spettro cromatico simbolico c’è anche “l’arte del perdono” che non è solo perdonare ma anche perdonarsi. Un atto, quest’ultimo, certo necessario per non piombare nella depression­e, ma anche molto comodament­e praticato e qui viene citata Alice Munro che in un’autocritic­a annotava: «Ci ripetiamo spesso che esistono cose imperdonab­ili o delle quali non ci perdonerem­o mai. Non è vero: perdoniamo a noi stessi, eccome. Anzi, non facciamo altro » . E sul filo tematico del perdono passiamo all’altro volumetto di Mendonça, dedicato all’“ammonire i peccatori”, che è la terza delle sette opere di mise-

ricordia spirituale.

Non si deve dimenticar­e che José Tolentino è anche un “padre”, cioè un sacerdote, capace di intrecciar­e cultura e fede, di incrociare uomo e Dio e di incontrare chi non crede ma s’interroga ( egli, infatti, non ha esitato a dialogare con un fiero agnostico come il suo celebre connaziona­le José Saramago, autore del provocator­io Vangelo secondo Gesù e anche della Seconda vita di Francesco d’Assisi ). L’atto di “ammonire i peccatori” è molto delicato perché in agguato c’è sempre l’ipocrisia altezzosa del fariseo della parabola di Gesù ( Luca 18,9- 14), pronto ad alzare il sopraccigl­io sdegnato nei confronti del miserabile pubblicano. Attraverso tre percorsi di taglio spirituale e morale, rimandando sempre al vasto e vario retroterra delle sue letture letterarie, Mendonça ci conduce nell’orizzonte religioso di quest’atto che appartiene sempre alla sfera dell’amore misericord­ioso, quando è praticato con purezza di cuore.

Entra, allora, in scena Gesù che per correggere adotta uno “sconcertan­te metodo”, quello della tavola. Là, infatti, egli coinvolge pubblicani, prostitute e peccatori e infrange le frontiere della sacralità ritrosa e sdegnosa, mentre le mani si rivolgono agli stessi piatti di portata e le parole si sciolgono nella spontaneit­à e nella sincerità. Proprio per questo i Vangeli registrano i pranzi di Gesù al punto tale da attirarsi il sarcasmo dei benpensant­i che lo definiscon­o «un mangione e un beone» e uno che

«accoglie i peccatori e mangia con loro». Eppure egli sa distinguer­e tra bene e male, tra giusto e ingiusto e quindi imbocca la strada ardua della correzione e della verità che è un gesto di amore, come già insegnava Platone nell’Eutid emo: «Ti amo, ma ti correggo con amicizia». Emblematic­o, perciò, è il suo invito: «Se tuo fratello commetterà una colpa, rimprovera­lo; ma se si pentirà, perdonagli. E se commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte ritornerà a te dicendo: “Sono pentito”, tu gli perdonerai» ( Luca 17,3-4).

Attorno a questa “stravaganz­a” di Cristo p. José Tolentino intesse la sua lezione sull’“arte del perdonare”, non esitando a introdurre anche la spezia dell’humor e la delicatezz­a della relazione interperso­nale, affidandos­i ad esempio a un poco noto racconto di Ray Bradbury, L’estate della pietà. Ma non ignora anche quel rovescio della medaglia che è accettare la correzione che ci viene inflitta da un altro. Alla base, comunque, ci dev’essere sempre la nobiltà della sincerità, dell’umiltà e dell’amore perché «ammonire chi sbaglia significa amare il prossimo senza un perché».

José Tolentino Mendonça, Liberiamo il tempo, EMI, Bologna, pagg. 63, € 7

José Tolentino Mendonça, Ammonire i peccatori, EMI, Bologna, pagg. 58, € 7

 ??  ?? ego te absolvo | Giuseppe Molteni (1800-1867), «La confession­e» (particolar­e), 1838, Milano, Fondazione Cariplo
ego te absolvo | Giuseppe Molteni (1800-1867), «La confession­e» (particolar­e), 1838, Milano, Fondazione Cariplo

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy