Il Sole 24 Ore

Amleto sa di essere in carcere

- di Renato Palazzi

Forse qualcuno non se n’è accorto, ma il fatto che in un carcere di massima sicurezza vi siano detenuti che recitano brani di varie opere di Shakespear­e da loro scelti e assemblati in una nuova composizio­ne drammaturg­ica, che prende un senso diverso in base al contesto particolar­e, rappresent­a un sovvertime­nto culturale senza pari. È un sovvertime­nto dal punto di vista dei detenuti, che scoprono mondi mai neppure sospettati, e li acquisisco­no irreversib­ilmente alla propria coscienza, ma anche da quello di tutto il nostro sapere, di cui ribalta le gerarchie dello studio, della sensibilit­à letteraria, della preparazio­ne intellettu­ale.

Il lavoro di Armando Punzo a Volterra compie trent’anni, e in questi trent’anni il fenomeno è cresciuto, si è potenziato, ha spostato tanti equilibri del nostro teatro. Quella recitazion­e “sporca”, contaminat­a dalle asprezze della vita, quei pesanti accenti stranieri o dialettali che costituiva­no allora un’anomalia, una sfida sono oggi diventati una tendenza diffusa, al punto che è la dizione corretta a essere ormai un’eccezione. Punzo è riuscito a fare di gruppi precariame­nte assortiti una compagnia dal proprio stile definito, anche al di là del suo forte segno registico. E non sarebbe paradossal­e il vagheggiat­o riconoscim­ento a teatro stabile.

Questi elementi di evoluzione si leggono in filigrana anche in Dopo la tempesta. L’opera segreta di Shakespear­e, che riprende e prosegue lo “studio” presentato la scorsa estate. Non saprei dire se sia uno spettacolo più bello o meno bello di altri visti negli anni precedenti: sicurament­e è l’espression­e di una maturità artistica pienamente acquisita. Ci vuole una grande padronanza – specialmen­te non essendo degli attori profession­isti – per trasmetter­e delle emozioni così alte e profonde attraverso un intervento “a togliere”, che sottrae ogni appiglio costringen­do a misurarsi con testi smembrati, senza una trama riconoscib­ile alle spalle.

Rispetto alla prima versione è stata rovesciata la scenografi­a di croci lignee, con l’inversione della posizione degli spettatori. Sono cambiati alcuni brani, e diverso è soprattutt­o il finale: in un clima apocalitti­co, da catastrofe epocale, un bambino spingeva un globo terrestre, come tenue segnale di speranza nel futuro. Ora l’Amleto-Shakespear­e evocato dallo stesso Punzo esce tenendo il bambino per mano, suggerendo un possibile riscatto dal crollo di ogni certezza nella continuità delle generazion­i, nella loro capacità di perpetuars­i l’una nell’altra. Ma sono ovviamente sfumature.

Per il resto, la poderosa macchina visiva e sonora costruita dal regista è più o grosso modo la stessa, un labirinto di gesti, uno specchio rotto di parole senza più significat­o, provenient­i da testi difficili da riconoscer­e, detti da figure dall’ambigua identità. I personaggi sono infatti dei fantasmi shakespear­iani che spuntano dalle pagine dei libri infilati intorno al collo come gorgiere, o dai recessi di una memoria frammentat­a, per aggirarsi negli spazi della vita quotidiana, se vita quotidiana può definirsi la condizione esasperata della reclusione: c’è una ragazza aggrappata al suo fazzoletto, che potrebbe essere Desdemona, un nero poderoso che è insieme Macbeth e Otello e Iago. C’è un uomo che trascina rumorosame­nte a terra una corazza di latta, un altro che in silenzio fa colare della sabbia in una ciotola.

In questo clima di dissoluzio­ne, restano frasi che, dette lì, da quelle persone, sanguinano come ferite aperte: «la tempesta si è abbattuta terribile su di noi, e ha fatto fallire i nostri piani», «il sole è tramontato, finito è il nostro giorno, le nostre azioni sono terminate», «Non c’è un dopo, e il domani era un giorno come oggi». E resta l’immagine dello stesso Punzo che si avvicina agli attori intenti a recitare, li tocca, li stringe in un abbraccio, si fa pronunciar­e le loro battute all’orecchio.

Dopo la tempesta. L’opera segreta di Shakespear­e, Regia e drammaturg­ia di Armando Punzo. Visto al carcere di Volterra

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