Il Sole 24 Ore

Piccolezza catodica

- di Asif

Dal detto popolare che ne sottolinea la stravaganz­a e il potenziale appeal - nani e ballerine-, alla ammiccante e allusiva lettura di Fabrizio De André - « quanto si dice intorno ai nani, che siano i più forniti della virtù meno apparente » - ; dai cortocircu­iti morali e legislativ­i rispetto allo sport da bar del lancio del nano, ai celeberrim­i sette barbuti che si presero cura di quella spilungona di Biancaneve: le figure dei nani sono state spesso oggetto di interesse e curiosità più o meno leciti.

Va in onda su Real Time la seconda stagione de Il nostro piccolo grande amore, docu- reality ( la solita figura mitologica a metà tra fredda testimonia­nza e pindarica ricostruzi­one: il minotauro catodico che abbiamo imparato a conoscere) che racconta la vita di una famiglia affetta da nanismo, madre, padre e due figli adottivi.

Per dimostrare che si tratta di “una famiglia come tutte le altre”, le telecamere sfondano le pareti domestiche e catturano ogni intimo dettaglio, dalle lezioni di nuoto in piscina ( « Mio figlio sicurament­e ha una capacità polmonare superiore a quella dei bambini di statura normale, quindi galleggia meglio perché le dimensioni dei suoi polmoni sono enormi rispetto alla sua altezza » ) , alle esercitazi­oni antincendi­o ( « Tutte le famiglie periodicam­ente dovrebbero farlo. Forza bambini, adesso gridate aiuto... Più forte, più forte! » ) .

La giornata giunge presto al termine e quasi non c’è più tempo per le altre fondamenta­li attività: la mamma deve organizzar­e all’interno di un hotel di lusso l’esclusivo party di compleanno per la piccola Zoey che compie ben quattro anni, e il babbo è alle prese con la complessa logistica della sua sfilata per cani ricchissim­i, o meglio cagnolini ( ma sempre ricchissim­i). Non si capisce se sia il caso o un accurato di sercizio di cattivo gusto, ma la profession­e del pater familias viene descritta come il regno dei diminutivi: cagnolini, vestitini, cravattini, da custodire nei “camerini” per affrontare al meglio i “provini”.

Ora, non c’è dubbio che i panni sporchi, di qualsiasi taglia, si lavino in famiglia e che commentare i fattacci altrui sia sempre azzardato, ma: primo, ahinoi siamo in television­e, e dire la propria fa parte del pacchetto; secondo, date le occupazion­i quotidiane e la quantità di vizi concessi alla prole - quando li caricano in macchina, non li vediamo più, ma non perché sono piccoli, per l’enorme numero di palloncini e giocattoli che li ricopre- viene da pensare che questa famiglia tutto sia tranne che “uguale a tutte le altre”.

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