Dadaismo libresco
Quelle sere del 1916, al Cabaret Voltarie, va in scena la storia. Ma quasi nessuno, nella sonnolenta Zurigo, se ne accorge. E forse, al più, i borghesi avranno reagito con un’alzata di sopracciglio all’evento; eppure, quei discoli che calcavano il palco, declamavano, facevano azioni teatrali con buffi travestimenti, erano – lo si sarebbe saputo solo poco dopo – la più folle e spregiudicata avanguardia artistica del Novecento. Hugo Ball e la sua tenuta da “astice argentato”, il rumeno signor Rosenstock, che decide di cambiare nome e destino all’arte del secolo sotto le mentite, ma verissime, spoglie di Tristan Tzara. Il dadaismo è stato davvero un urlo liberatorio la cui eco giunge nitida fino a oggi. E non solo: perché se le celebrazioni di quest’anno (sparse tra Zurigo e il mondo) sono in pieno corso, c’è anche da salutare la “riapparizione” di un progetto che lo stesso Tzara aveva cullato per anni, senza mai realizzare, per il solito motivo: mancanza di fondi. Eppure. La tenacia dei collezionisti, la coraggiosa devozione degli studiosi al proprio oggetto, la testardaggine con la quale si persegue uno scopo: c’è anche qualcosa di poetico nel progetto Dadaglobe Reconstructed, ora in mostra al Moma di New York – per chi può –, con i materiali originali, e, per tutti, nell’omonimo libro edito, con eleganza e vera capacità di fare libri dalla zurighese Scheidegger & Spiess (pagg. 304, 277 ill. a Da sopra: Tristan Tzara; Aldo Fiozzi, «Sua Eccellenza Passeggia» (1920; una delle lettere di invito a partecipare al progetto di Tzara colori e 113 in b/n, € 58,00). Lo studioso è Michel Sanouillet, che dal 1964 era sulle tracce di questo “fantomatico” progetto di Tzara, a lungo creduto uno scherzo dadaista giocato ai posteri. E proprio lui, dopo aver scoperto il faldone, recuperato molti originali (che nel frattempo erano andati venduti a Berna, fin dal 1968...), è purtroppo morto nel 2015, senza aver visto l’opera che, dopo 50 anni, rispolvera, in tutta la sua bellezza (o almeno ci prova), l’idea originale di Tzara. I saggi che sono premessi al catalogo delle opere sono cristallini e spiegano molto bene genesi, fortune e avventure del progetto. Che fu perseguito fin dal novembre 1920: l’idea era quella di una “mappatura” Dada del mondo: con contributi provenienti dai diversi continenti, e quasi tutti gli artisti del movimento coinvolti. Tzara invitava su carta intestata dada; i sodali rispondevano: chi con disegni, chi con poesiole, epigrammi, foto, collage, brevi testi. Molti di questi lavori sono rimasti inediti fino a oggi. Il “progetto” è naturalmente di difficile distinzione: ci sono i lavori che arrivarono a Tzara troppo tardi, quelli scartati, quelli non mandati (ma reperiti in seguito presso gli artisti) per quello specifico progetto. Da Aragon ad Arp, da Cocteau a Man Ray, da Duchamp a Breton , da Picabia a Eluard, fino agli italiani Cantarelli, Fiozzi o Anton Giulio Bragaglia, che è presente con il ritratto fotografico fatto a Evola, scelto da Evola medesimo: è un libro meraviglioso, pieno di sorprese, di scoperte, di gioia, originalità, idee, fantasia. Pieno di dada: vitalissimo a un secolo dalla nascita!