Da Fendi righe e profili scultorei Max Mara porta i tropici in città
La donna Les Copains viaggia con sahariane e pantaloni cargo, per Pucci colori al neon
a Teatralità e iperrealismo, e poi gli infiniti incontri e scontri di queste due pulsioni contrarie, sembrano essere le forze definenti della energizzata fashion week milanese. C’è elettricità nell’aria: la città appare definitivamente rivitalizzata e propositiva, mentre i designer più che mai si impegnano con ogni forza ad acciuffare lo spirito imprendibile di questi tempi folli e bizzarri. Che si stia ballando tutti sull’orlo dell’abisso è una sensazione ampiamente condivisa, e questo spiega l’epidemia di nonsense roboante e di eccentricità. Come dire: se il mondo deve finire a breve, indipendentemente dalla nostra volontà, tanto vale attendere il giorno del giudizio godendo e giubilando.
È tempo di neobarocco digitale, di carnevale permanente, e a ricordarlo con un editto incontrovertibile, da è Karl Lagerfeld in persona, l’immarcescibile Kaiser della moda, un designer che con l’eccesso rigoroso e l’espressionismo ha un rapporto privilegiato. In passerella si materializza un teatrino fiammeggiante di bamboline cyber-rococò con le bocche metallizzate e le codine da lolita, vestite di grembiuli e sottovesti attraversati da righe decise, di giacche dai profili scultorei, di pantaloni che ridisegnano la silhouette: iperboli vestimentarie che esigono come sfondo un manga, ma anche la reggia di Versailles. L’effetto costume è dietro l’angolo, ma Lagerfeld trova una inattesa leggerezza: i colori zuccherini e le materie fluide, e poi l’atletismo che pervade tutta la prova, danno levità e appeal a quel che poteva essere una fantasia da passerella. Questionabile, piuttosto, è il tipo di figura femminile che qui si propone: potente, certamente, ma in fondo bambola programmata; fredda e distante come solo succede in certe fantasie maschili. Fendi dopo tutto è un matriarcato, e veder maggiore impegno nel definire una diversa iconografia sarebbe stimolante.
Sfrecciano inesorabili e fiere le nomadi
Fendi,
Pucci,
globetrotter di dove Massimo Giorgetti affronta di petto uno dei difficili pilastri della maison, il jersey, e trova un equilibrio tutto suo tra archivio e contemporaneità. Essenziale e scattante, con i colori al neon - originali di Emilio - e le linee che segnano appena il corpo, la collezione è la più riuscita dall’arrivo alla direzione creativa della gloriosa casa fiorentina, ma non convince ancora del tutto. Gli ingredienti ci sono e sono giusti, dalle stampe grafiche alla scelta di pensare un guardaroba modulare per la jet setter di oggi, ma la mescola manca di forza e alla fine la paura nera di rifare il vintage è il fantasma che senza volerlo si materializza.
Anche Peter Dundas, da si impantana nelle pastorie dell’archivio, se non quello fisico della maison, di certo quello iconografico: ad ogni passaggio, in passerella, sembra di vedere l’ennesima incarnazione di Eva Cavalli, musa indiscussa dell’indimenticabile Roberto, nella fase boheme anni Settanta. L ’ o p e r a z i o n e d i a f - fermazione dei codici del marchio - disinibizione, ribellione, sensualità, opulenza - è chiara, ma non si percepisce la spinta in avanti, l’abbrivio inedito e la formula alla fine sa di stantio.
Roberto Cavalli,
Francesco Scognamiglio,
invece, conti- nua ad evolversi, pur senza rinunciare al gusto della carnalità esibita e compiaciuta che è da sempre la chiave di volta del suo successo. A questo giro le iperfemmine si scoprono anche un po’ maschiette, abbracciano una certa secchezza e il contrasto giova.
Altrove, invece, è il pragmatismo a trionfare. Si va dai pezzi maschili dai volumi esagerati, brulicanti righe ottimiste, di Natasa Cagalj per al tropicalismo metropolitano di Qui a catturare l’occhio sono i capispalla, fermi e performanti per proteggere corpi, al contrario, inguinati e voluttuosi. La collezione è un incontro di sensualità e sport che esprime il momento: essere sexy, oggi, non vuol dire essere bambole. Da l’idea del viaggio al caldo si traduce in una serie di sahariane con maniche staccabili e pantaloni cargo. Da
in fine, la boutade di stagione sono le paper dolls: ennesima trovata di Jeremy Scott per stravolgere il codice del ben vestire senza davvero stravolgerlo.
Ports 1961,
Max Mara .
Les Copains
Moschino,