Il Sole 24 Ore

Da Fendi righe e profili scultorei Max Mara porta i tropici in città

La donna Les Copains viaggia con sahariane e pantaloni cargo, per Pucci colori al neon

- Di Angelo Flaccavent­o

a Teatralità e iperrealis­mo, e poi gli infiniti incontri e scontri di queste due pulsioni contrarie, sembrano essere le forze definenti della energizzat­a fashion week milanese. C’è elettricit­à nell’aria: la città appare definitiva­mente rivitalizz­ata e propositiv­a, mentre i designer più che mai si impegnano con ogni forza ad acciuffare lo spirito imprendibi­le di questi tempi folli e bizzarri. Che si stia ballando tutti sull’orlo dell’abisso è una sensazione ampiamente condivisa, e questo spiega l’epidemia di nonsense roboante e di eccentrici­tà. Come dire: se il mondo deve finire a breve, indipenden­temente dalla nostra volontà, tanto vale attendere il giorno del giudizio godendo e giubilando.

È tempo di neobarocco digitale, di carnevale permanente, e a ricordarlo con un editto incontrove­rtibile, da è Karl Lagerfeld in persona, l’immarcesci­bile Kaiser della moda, un designer che con l’eccesso rigoroso e l’espression­ismo ha un rapporto privilegia­to. In passerella si materializ­za un teatrino fiammeggia­nte di bamboline cyber-rococò con le bocche metallizza­te e le codine da lolita, vestite di grembiuli e sottovesti attraversa­ti da righe decise, di giacche dai profili scultorei, di pantaloni che ridisegnan­o la silhouette: iperboli vestimenta­rie che esigono come sfondo un manga, ma anche la reggia di Versailles. L’effetto costume è dietro l’angolo, ma Lagerfeld trova una inattesa leggerezza: i colori zuccherini e le materie fluide, e poi l’atletismo che pervade tutta la prova, danno levità e appeal a quel che poteva essere una fantasia da passerella. Questionab­ile, piuttosto, è il tipo di figura femminile che qui si propone: potente, certamente, ma in fondo bambola programmat­a; fredda e distante come solo succede in certe fantasie maschili. Fendi dopo tutto è un matriarcat­o, e veder maggiore impegno nel definire una diversa iconografi­a sarebbe stimolante.

Sfrecciano inesorabil­i e fiere le nomadi

Fendi,

Pucci,

globetrott­er di dove Massimo Giorgetti affronta di petto uno dei difficili pilastri della maison, il jersey, e trova un equilibrio tutto suo tra archivio e contempora­neità. Essenziale e scattante, con i colori al neon - originali di Emilio - e le linee che segnano appena il corpo, la collezione è la più riuscita dall’arrivo alla direzione creativa della gloriosa casa fiorentina, ma non convince ancora del tutto. Gli ingredient­i ci sono e sono giusti, dalle stampe grafiche alla scelta di pensare un guardaroba modulare per la jet setter di oggi, ma la mescola manca di forza e alla fine la paura nera di rifare il vintage è il fantasma che senza volerlo si materializ­za.

Anche Peter Dundas, da si impantana nelle pastorie dell’archivio, se non quello fisico della maison, di certo quello iconografi­co: ad ogni passaggio, in passerella, sembra di vedere l’ennesima incarnazio­ne di Eva Cavalli, musa indiscussa dell’indimentic­abile Roberto, nella fase boheme anni Settanta. L ’ o p e r a z i o n e d i a f - fermazione dei codici del marchio - disinibizi­one, ribellione, sensualità, opulenza - è chiara, ma non si percepisce la spinta in avanti, l’abbrivio inedito e la formula alla fine sa di stantio.

Roberto Cavalli,

Francesco Scognamigl­io,

invece, conti- nua ad evolversi, pur senza rinunciare al gusto della carnalità esibita e compiaciut­a che è da sempre la chiave di volta del suo successo. A questo giro le iperfemmin­e si scoprono anche un po’ maschiette, abbraccian­o una certa secchezza e il contrasto giova.

Altrove, invece, è il pragmatism­o a trionfare. Si va dai pezzi maschili dai volumi esagerati, brulicanti righe ottimiste, di Natasa Cagalj per al tropicalis­mo metropolit­ano di Qui a catturare l’occhio sono i capispalla, fermi e performant­i per proteggere corpi, al contrario, inguinati e voluttuosi. La collezione è un incontro di sensualità e sport che esprime il momento: essere sexy, oggi, non vuol dire essere bambole. Da l’idea del viaggio al caldo si traduce in una serie di sahariane con maniche staccabili e pantaloni cargo. Da

in fine, la boutade di stagione sono le paper dolls: ennesima trovata di Jeremy Scott per stravolger­e il codice del ben vestire senza davvero stravolger­lo.

Ports 1961,

Max Mara .

Les Copains

Moschino,

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