A proposito di analogie
iamo in mesi in cui è prematuro sganciare la cintura di sicurezza». Così il 14 febbraio del 2012 l’allora presidente del Consiglio, Mario Monti, motivò il no del Governo alla candidatura di Roma ai Giochi del 2020. Troppe le incognite sui costi – osservò – impossibile offrire «garanzie in bianco su un importo potenzialmente illimitato». Precedente che Virginia Raggi ha espressamente evocato nel corso della conferenza stampa di due giorni fa, al termine della quale ha annunciato il suo no alle “Olimpiadi del mattone”. I dati odierni – ha osservato – sono tutti peggiorati rispetto ad allora. Qualche precisazione è opportuna. Nel febbraio del 2012 era da poche settimane in vigore il decreto cosiddetto “salvaItalia”, quello per intenderci che il Governo Monti varò il 4 dicembre 2011 sull’onda di una gravissima emergenza finanziaria. Lo spread nei giorni frenetici di novembre era arrivato a toccare i 575 punti base. A quei livelli di tassi di interesse, il deficit sarebbe esploso. Oggi l’emergenza non è più lo spread, stabilmente ancorato attorno ai 120/130 punti base. L’emergenza è l’economia reale, inchiodata a tassi di crescita dello “zero virgola”. Siamo usciti da oltre tre anni di recessione e stentiamo a ripartire. Ecco la vera questione. E per ripartire la leva fondamentale da azionare è quella degli investimenti, a livello nazionale come a livello locale. Certo pesa il debito pregresso di Roma, pari a 13,6 miliardi, ma non per questo ci si può fermare in attesa che passi la nottata.