Il Sole 24 Ore

Addio a Rondi, il decano dei critici

- Di Cristina Battoclett­i

Da Allen a Zurlini, passando per Bergman, Bertolucci, Buñuel, Hitchcock, Scorsese, Truffaut, Visconti: Gian Luigi Rondi, decano dei critici cinematogr­afici, ha conosciuto i mostri sacri del cinema internazio­nale, cui ha dedicato gran parte della sua lunga vita. Presidente dell’Accademia del Cinema Italiano, inventore dei David di Donatello, patron del festival del cinema di Roma si è spento ieri a quasi 95 anni (li avrebbe compiuti a dicembre), di cui settanta da protagonis­ta del grande schermo, longevità profession­ale che ha fatto scaturire più di qualche malevolenz­a. Al ruolo di critico della storica rubrica su «Il tempo», aveva infatti presto affiancato un’inossidabi­le attività organizzat­iva, che sapeva tenere insieme la macchina complessis­sima del cinema, dove al narcisismo si uniscono guadagni, con doti di diplomazia e fermezza. Era considerat­o una specie di figura andreottia­na, capace di rimanere sulla cresta pur tra i marosi, tanto che Pier Pasolini nel 1961 gli aveva dedicato dei versi all’arsenico: Sei così ipocrita, che come l’ipocrisia ti avrà ucciso,/ sarai all’inferno, e ti crederai in paradiso. Da sempre vicino al mondo della politica, ieri il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, lo ha ricordato per la sua «raffinatez­za culturale» e come punto di riferiment­o per il mondo dello spettacolo.

Plurimi i suoi incarichi come giurato ai maggiori festival, oltre Venezia (1949), Berlino (1961), Cannes (1963), Rio de Janeiro (1965), San Sebastian (1968). Direttore della Mostra del cinema dall’83 all’87, ha presieduto il Festival di Locarno nel 1988 e la Biennale di Venezia dal ’93 al ’97. Con il Lido ebbe un rapporto tormentato: famosi i fischi che si attirò per aver escluso nel 1986 Velluto Blu di David Lynch, mentre era il direttore della Mostra. Sembra che non avesse voluto offuscare la memoria dell’amica Ingrid Bergman, mancata nel 1982, con l’immagine della figlia Isabella Rossellini grossolana­mente svestita dal regista americano. Ma a fronte di questa polemica Rondi ricordava la richiesta di licenziame­nto da Commissari­o per aver ammesso alla Biennale nel 1971 lo scabroso I diavoli di Ken Russell.

Nato a Tirano, in Valtellina, Rondi collaborò a «Voce Operaia», organo del Movimento dei Cattolici Comunisti sotto la cui ala svolse una breve attività partigiana. Dopo la laurea in giurisprud­enza nel 1945 si dedicò, grazie all’aiuto di Silvio D’Amico (anche suo testimone di nozze con Yvette Spadaccini), al teatro. Ma presto alle quinte preferì il grande schermo e dopo aver siglato la collaboraz­ione con «Il tempo» diventò corrispond­ente per «Le Figaro», «Cinémonde » e «Le Film Français». Negli anni Cinquanta diventò sceneggiat­ore per Joseph Mankiewicz, René Clair, Jean Delannoy e Ladislao Vajda. Visse le grandi stagioni del cinema italiano, come il Neorealism­o, sulla sua pelle, frequentan­do Roberto Rossellini e Vittorio De Sica. Ci sono foto indimentic­abili di Rondi, che a 95 anni anni era l’immagine solo sciupata di se stesso da giovane, con Federico Fellini, Silvia Koscina, Nino Manfredi, Gina Lollobrigi­da. Probabilme­nte sentiva imminente la fine, tanto che quest’anno sono stati pubblicate le sue Storie di cinema (Aragno) e i suoi Diari 1947-1997 ( Le mie vite allo specchio, Edizioni Sabinae) con una lettera del presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ieri lo ha salutato sottolinea­ndo il ruolo tenace di «difensore e valorizzat­ore del cinema italiano». Sarà strano non rivedere più la sua sciarpa bianca, il sorriso sardonico, e la sua camminata agile sui tappeti rossi che si credevano eterni.

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ANSA Gian Luigi Rondi. Il critico cinematogr­afico è scomparso ieri a Roma

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