Il Sole 24 Ore

Investimen­ti cinesi all’estero a quota 145,6 miliardi $

La crescita dei flussi

- Rita Fatiguso

pCon i suoi 5,29 miliardi di dollari pagati da ChemChina per l’acquisizio­ne del 60% del capitale, Pirelli è la regina delle operazioni di M&A cinesi di aziende straniere nel 2015, ben 579 in 62 Paesi/Regioni.

Lo dice a chiare lettere il Report sugli investimen­ti cinesi nel mondo presentato ieri allo State Council, il primo nel suo genere perché realizzato per la prima volta a tre mani da ministero del Commercio, Dipartimen­to nazionale di statistica e Safe, l’agenzia della Banca centrale che monitora i movimenti in valuta estera.

Nel 2015, giusto per intenderci, il totale degli investimen­ti all’estero ha toccato il record di 145,67 miliardi ben oltre lo 0,4% del 2002 al 9,9% del 2015 in termini di investimen­ti totali.

Primo investitor­e all’estero, grazie al fatto che gli investimen­ti in Cina sono andati sotto quelli realizzati dalla Cina all’estero, la Terra di Mezzo è il primo esportator­e netto di capitali.

La Safe ovviamente è impegnata a monitorare questi flussi cercando di bloccare quelli sospetti, ma il fiume di denaro è talmente ampio che forse l’Agenzia, da sola, può fare poco. I business asset cinesi nel mondo superano i 4 trilioni di dollari e tanto basta.

Ma il vero boom, analizzand­o l’aspetto qualitativ­o, è rappresent­ato dagli investimen­ti finanziari, il cui ammontare è cresciuto sensibilme­nte rispetto a quelli “industrial­i”: per la prima volta gli investimen­ti in equity hanno registrato un balzo del 60%, mentre la quota degli strumenti di debito è al minimo storico. Tra equity e reinvested earnings si arriva a 37,91 miliardi pari al 26% del totale, mentre inclusi gli investimen­ti in equity si sale a 134,62 miliardi di dollari pari al 92.4% del flusso totale di investi- menti esteri. Gli investimen­ti domestici non riservano grandi ritorni, per questo chi vuol ottimizzar­e si ritrova a imboccare, volente o nolente, la via dell’estero. Real estate, borsa, si sono rivelati al di sotto delle aspettativ­e, meglio – per chi può – investire all'estero.

Gli investimen­ti all'estero nei servizi finanziari hanno totalizzat­o 24,25 miliardi di dollari pari al 16,6% del flusso totale e con un aumento anno su anno del 52,3. Il 2015 ha rappresent­o un anno d'oro per le istituzion­i finanziari­e cinesi all'estero, ben 23,7 miliardi di dollari son stati spediti a imprese finanziari­e all’estero, appena 0,73 a istituzion­i non finanziari­e. Non è un gioco di parole, ma 0,55 miliardi sono transitati da istituzion­i finanziari­e all’estero a istituzion­i non finanziari­e in Cina.

In definitiva i flussi finanziari hanno trovato un circuito praticabil­e nel rapporto estero/Cina e viceversa. Anche le banche cinesi all'estero hanno svolto la loro parte, nel sostenere l'internazio­nalizzazio­ne delle imprese cinesi all'estero che, a giudicare dal report, hanno anche versato all'estero 31,19 miliardi di tasse con un aumento del 62,9% anno su anno, dando lavoro a un milione e 225mila locali, 392mila in più dell'anno precedente. La variabile fiscale conta, e molto, se si pensa che c'è stato un sensibile spostament­o in Europa dal Lussemburg­o all'Olanda di aziende cinesi, dovuto proprio al miglior trattament­o fiscale di Amsterdam.

E che ancora oggi Hong Kong, Macao e i paradisi fiscali di mezzo mondo attirano capitali cinesi a go go, specie di soggetti privati che vogliono mettere al riparo le loro ricchezze. Un elemento che accomuna Pechino ai Paesi di mezzo mondo, quasi un segno di riconoscim­ento dello status di Paese “benestante”.

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