Il copyright su pc e telefoni bocciato dalla Corte europea
Decreto Bondi «incompatibile» in tre punti
pL’equo compenso - cioè la “tassa occulta” sul copyright dovuta per ogni dispositivo che possa duplicare audio e video, smartphone e pc compresi - esce in parte bocciato dalla Corte di giustizia dell’Ue. La seconda sezione nella causa C110/15, che vedeva opposte una serie di multinazionali (da Microsoft mobile a Hp, a Telecom Italia, Fastweb, Wind, tra le altre) al Ministero per i beni artistici e culturali e Siae ( oltre Imaie, Anica, e Assoproduttori televisivi) ha stabilito che il decreto Bondi del 2009 è contrario alla Direttiva europea 29 del 2001 almeno sotto tre profili.
In particolare , secondo i giudici comunitari, è incoerente con le norme europee la scelta di “tassare” anche i device chiaramente non destinati a un uso privato (per esempio, smartphone e computer portatili aziendali, sul cui prezzo incide anche l’equo compenso); inoltre è scorretto che sia una contrattazione privata tra Siae e, di volta in v0lta, le aziende produttrici a stabilire se e come esentare taluni prodotti dal “prelievo” per i diritti d’autore; infine, non è compatibile con il diritto europeo il meccanismo di rimborso dell’equo compenso riservato esclusivamente agli utilizzatori finali. e solamente a loro favore.
In sostanza, scrive la Corte Ue in una motivazione come al solito molto articolata, il legislatore italiano è andato molto oltre le linee guida continentali, nella protezione del copyright: in primo luogo non prevedendo un’esenzione automatica - e per legge - per tutti gli apparecchi destinati a forniture a professionisti o a società (persone giuridiche) . In que- sti casi è evidente come l’utilizzo di pc, telefoni, eccetera, non sia finalizzato alla scaricamento di file essenzialmente ludici (musica, film), ed è quindi sbagliato sottoporli a prelievo come gli stessi device destinati al tempo libero.
Quanto alla procedura di esenzione “a priori” dall’equo compenso - affidata a trattativa privata tra Siae e singoli produttori - la Corte sottolinea che è foriera i nevitabilmente di trattamenti diseguali per situazioni «sostanzialmente equiparabili». Sulla questione «rimborso» dell’equo compenso - che oggi può essere fatto valere solo dal consumatore finale, evidentemente scoraggiato a muoversi per pochi euro - i giudici Ue non bocciano la soluzione italiana a priori, ma solo perchè non è prevista una simmetrica procedura di esonero ex ante per produttori, importatori o distributori che vendono a soggetti i quali abbiano finalità manifestamente estranee all’utilizzo “ludico” per copia privata (professionisti, dipendenti di società, e altri).
In attesa di possibili ulteriori step del contenzioso - affidato alla Corte Ue dal Consiglio di Stato, in sede di impugnazione di una sentenza del Tar - il verdetto solleva reazioni opposte. «Abbiamo denunciato, fin dall’inizio la contrarietà al diritto comunitario delle norme italiane sul compenso per copia privata sugli usi professionali - dice il presidente di Confindustria digitale, Elio Catania -. Ora auspichiamo che la nuova regolamentazione recepisca integralmente le indicazioni date dalla Corte e che le aziende siano prontamente risarcite». Sul versante opposto, Siae dichiara che «la sentenza della Corte di Giustizia non mette in alcun modo in discussione la legittimità della copia privata né mette in discussione l’intero decreto Bondi o la correttezza dell’operato di Siae. La Corte ha ritenuto i ncompatibile con la direttiva Ue esclusivamente un articolo dell’allegato tecnico del decreto del 30 dicembre 2009, per una parte, quindi, squisitamente tecnica e limitata negli effetti».
LIMITI AL PRELIEVO Scorretto considerare che i device di professionisti siano comunque utilizzati per scaricare file e video protetti da diritti